Il delitto Matteotti

Novantasei anni fa, il 16 agosto 1924, venne ritrovato il cadavere del deputato socialista Giacomo Matteotti. Dopo le elezioni politiche, alla Camera, denunciò brogli e violenze delle squadre fasciste. Venne rapito, assassinato dai sicari di Mussolini e dimenticato dai militanti antifascisti.

Roma, 3 Gennaio 1925. Nella Camera dei Deputati, l’assemblea degli onorevoli attendeva che Benito Mussolini prendesse parola. Un silenzio assordante avvolgeva l’Aula. Il Primo Ministro doveva fornire dei chiarimenti riguardo il rapimento e l’omicidio del deputato del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 Giugno dell’anno prima. Nessuno dei presenti avrebbe più scordato quel giorno. Mussolini sgrano gli occhi e si guardò intorno. Forse, ripensava agli avvenimenti drammatici che l’avevano condotto fin lì. Forse ripassava nella sua mente i punti salienti del discorso che avrebbe dovuto pronunciare. La causa scatenante di quel delitto, ormai da mesi sulle prime pagine dei giornali, per alcuni andava ricercata nell’ultima arringa che Matteotti aveva pronunciato per contestare la validità delle elezioni politiche tenutesi il mese prima. Le consultazioni elettorali avevano sancito un vincitore: Partito Nazionale Fascista, che ottenne 4 milioni di voti. Il partito, grazie alla Legge Acerbo approvata nel ‘23, poté beneficiare di un premio di maggioranza tale da garantirgli 2/3 dei 535 seggi. Tuttavia, dietro questa vittoria vi erano molte ombre.

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Nella seduta del 30 Maggio del 1924, Giacomo Matteotti chiese ed ottenne la parola. Tra gli scranni della Camera dei deputati, cominciò una vera e propria bolgia di urla, insulti, interruzioni, mentre Matteotti con voce ferma pronunciava il suo discorso. Egli pronunciò delle accuse riassumibili in questo modo: il Partito Fascista aveva pilotato le elezioni, ricorrendo a vere e proprie azioni intimidatorie nei confronti dei candidati degli altri partiti e, anche, degli elettori. «Vi è una milizia armata» disse Matteotti, «composta di cittadini di un solo partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. In aggiunta e in particolare, mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzione o quando era in funzione, e mentre di fatto in tutta l’Italia, specialmente rurale, abbiano constatato in quei giorni la presenza di militi nazionali in gran numero…».

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Il deputato socialista chiese l’annullamento immediato delle elezioni, mettendo in imbarazzo il Governo. Matteotti intuiva quanto fosse stato pericoloso un j’accuse del genere. Si racconta che ai compagni di partito che si complimentavano con lui per il coraggio, disse di cominciare a preparare un discorso funebre in sua memoria. Mussolini era furioso, ed il giorno dopo, sul Popolo d’Italia, organo di stampa del P.N.F., apparve un suo articolo polemico, le cui parole non lasciavano presagire nulla di buono: «L’on. Matteotti ha tenuto un discorso mostruosamente provocatorio che avrebbe meritato qualche cosa di più tangibile che l’epiteto di “mansada” lanciato dall’on. Giunta». La tensione si inasprì nei giorni successivi ed in particolare nell’assemblea del 6 Giugno, quando Mussolini descrisse in maniera più chiara di quale genere di rimedi necessitassero le opposizioni. Sosteneva che in un altro Paese (si riferiva alla Russia) tutte le opposizioni sarebbero finite nel  “bagno penale” o avrebbero ricevuto del “piombo nella schiena”.

Stefano Carta

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