Ennio Flaiano e il primo Premio Strega

Settantatré anni fa, il 15 maggio 1947, usciva “Tempo di Uccidere”, primo e ultimo romanzo di Ennio Flaiano; ambientato durante l’invasione italiana in Etiopia del 1935/36, vinse la prima edizione del Premio Strega.

Nel marzo del ’47 Flaiano consegna a Longanesi Tempo di uccidere. È come se lo scrittore fosse stato trascinato da Longanesi nell’impresa che lo porterà a vincere il primo Premio Strega. Quando le copie del libro sono stampate, l’editore continua a consigliare l’insicuro romanziere: “Carissimo Flaiano, penso che il libro sarà in vendita dopo il 15 maggio. Si faccia avanti con il Premio della Bellonci. Non abbia timidezze: si faccia fotografare in cento modi e faccia pubblicare i ritratti. Cerchi di parlare alla radio, si comporti insomma come un Guglielmo Marconi. Bisogna battere Moravia”. E il primo Premio Strega andò a Flaiano, come Leo aveva esattamente previsto: 92 schede a favore contro le 34 di Bigiaretti. Nel ’49 – il primo numero è del 26 febbraio – Flaiano viene chiamato da Mario Pannunzio come caporedattore della rivista degli azionisti, Il Mondo. E al Mondo, Flaiano si occupa soprattutto delle fotografie, della scelta delle foto, cosa che lui, Benedetti e Pannunzio avevano imparato proprio da Leo. “Con una foto in mano, io divento un leone”, era il vanto di Longanesi. E anche questo episodio mette in evidenza quanto, in realtà, accomunasse gli irregolari del Mondo a quelli che con il Borghese – la rivista che Longanesi fondò a Milano l’anno successivo – sono stati a loro contrapposti da una vulgata consolidata ma inconsistente. E anche questo – malgrado la facile schematizzazione che vorrebbe Il Mondo a sinistra e il Borghese a destra – la dice lunga sull’anima libertaria della cultura italiana nel secondo dopoguerra.

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Fatto sta che, nell’aprile del ’54, nonostante Flaiano sia ormai il caporedattore del Mondo, Leo Longanesi, che continuava a scrivergli, gli ricorda in una lettera gli articoli promessi per il suo Borghese e aggiunge: “Da I vitelloni non si potrebbe cavar fuori un libro? Il tema è buono e il libro si venderebbe molto”. Flaiano ci pensa. “Quando si mette a scrivere il secondo romanzo? Perché non manda nulla al Borghese?”, si chiede tra sé e sé. Quel filo rosso tra i due non si spezzò mai, nonostante tutto. E subito dopo la morte di Leo, scriverà Flaiano al comune sodale Mino Maccari: “Caro Maccari, ero a Fregene quando ho saputo dai giornali la fine di Longanesi e ho pensato a te ch’eri suo vero amico. Volevo scriverti. Ho scritto invece un piccolo ricordo sul Diario notturno, di cui mi sono pentito perché ho visto che tutti si sono gettati a scrivere di Longanesi e a rivendicarlo. Volevo togliere il pezzo, non è stato possibile. Io ho voluto ringraziarlo di quello che aveva fatto per me e mi è sembrato un saluto onesto. Ma tuttavia sono pentito. Oggi è meglio tacere quando le cose ci toccano davvero. C’è troppo giornalismo in giro. Non aggiungo altro. La sua fine è stata un dolore per tutti quelli che gli volevano veramente bene. Ma così, ogni giorno che passa scivoliamo sempre più verso la zona dell’ombra, confortati solo dalla volgarità del mondo che avanza, e che non condividiamo più”.

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E sulle pagine de Il Mondo, per la rubrica “Diario notturno”, lo stesso Flaiano aggiungerà: “I giornali danno la notizia della morte di Leo Longanesi. I giornali ormai non ci danno che cattive notizie, un giorno finiremo per leggerci anche la notizia della nostra morte; ma quella di stamani era più che una cattiva notizia: mi è parsa insidiosa e scoraggiante. Longanesi morto è più di un amico perduto, è la fine di un incontro e di uno spettacolo. Ho pensato a lui durante il giorno e ho capito che gli volevo bene e che lui me ne voleva: ma era il bene “di una volta”, quello che non si dice e porta a continui e reciproci perdoni”. Vale la pena leggere l’articolo-necrologia fino alla fine: “Ho ricordato – aggiungeva Flaiano – come l’avevo conosciuto vent’anni fa, in una birreria dove, dopo quattro chiacchiere mi disse: “Si metta a scrivere e non perda tempo”. Me lo ordinò addirittura, senza spiegarmi le ragioni che io non vedevo chiare. Era il suo modo di convincere i pigri e i delusi della mia specie. Sei anni dopo lavoravamo insieme a un film e l’8 settembre lo sorprese mentre lo stava dirigendo. Era il suo primo film, mai finito, la storia di un vecchio anarchico che mette la bomba sotto un palazzo e poi va ad avvisare tutti gli inquilini che hanno ancora dieci minuti di vita. Era certo lui, Longanesi, il vecchio anarchico”.

Luciano Lanna

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