Il bombardamento di Montecassino

Settantasei anni fa, alle prime ore del mattino del 18 maggio 1944, i soldati polacchi si arrampicarono sulle desolate rovine di Montecassino e issarono, sul punto più alto, la bandiera polacca. Tre mesi prima, gli aerei Alleati iniziarono il bombardamento dell’abbazia, fondata dal monaco Benedetto da Norcia nel 529.

All’alba del 18 maggio 1944, velati dalla prima nebbia mattutina, tre soldati polacchi si arrampicarono sulle desolate rovine di Montecassino e issarono, sul punto più alto, la bandiera polacca. Più di duecentomila uomini, tra contingenti alleati e nazifascisti avevano combattuto per quattro mesi, nel tentativo di conquistare quella collina che ormai faceva da base alle macerie dell’abbazia, rasa al suolo dal grande bombardamento alleato del 15 febbraio. Al loro arrivo gli uomini del generale inglese Alexander scoprirono che le grandi e umide cantine del monastero avevano resistito al feroce bombardamento e che i preziosi libri millenari erano ancora al loro posto, nei robusti scaffali innalzati da San Benedetto da Norcia nel lontano 529.

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L’immigrazione barbarica e le conseguenti dominazioni gotiche e longobarde, così come la diffusione del cristianesimo, avevano trasformato l’impero romano, facendolo piombare dai grandi fasti in cui dominava il mondo alle ombre dei secoli bui. In tutto l’impero si svolgevano interminabili dibattiti teologici e l’apparato ecclesiastico veniva dotato sempre di una maggiore autorevolezza, acquisendo sul piano civile e politico l’importanza che prima aveva l’apparato amministrativo romano. In questo nuovo mondo, caratterizzato da un forte fremito religioso, si diffuse sia in Oriente che in Occidente una nuova forma di vita cristiana, basata sul distacco totale dalla società, sulla rinuncia ai beni terreni e al totale dominio delle passioni: il monachesimo. Nato nell’indifferenza generale e destinato a suscitare un’influenza di marginalità, il monachesimo diventò presto il più straordinario fenomeno religioso capace di plasmare la nuova società del Medioevo.

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Il monachesimo cristiano nacque in Egitto nel III secolo, dove tra le foglie ingiallite dal sole, nelle pianure immense e deserte alcuni uomini, sperduti, si ritiravano in caverne inospitali per sperimentare un’esistenza dedita all’isolamento, alla preghiera e alla penitenza. Il più celebre di loro, Antonio abate, si stabilì in una tomba vuota, all’interno di un vecchio cimitero abbandonato. Altri stravaganti monaci si rinchiusero in piccole abitazioni senza finestre o, quando la propria coscienza possedeva parecchi peccati da espiare, pativano le sofferenze della continua esposizione alle intemperie, abbattendo il tetto del loro già fatiscente e povero edificio. I dendrìtai, invece, passavano la loro vita in cima a un albero, senza mai toccare il suolo. In Siria e in Mesopotamia era frequente imbattersi nei cosiddetti stiliti, i quali si stabilivano in cima a delle grandi colonne, dove senza alcuna protezione subivano una continua esposizione al sole, alle intemperie, agli uccelli rapaci e ai vivaci bambini che, di tanto in tanto, si divertivano a giocare al tiro al bersaglio, utilizzando escrementi d’animale come proiettili. L’asceta stilita più famoso, Simeone il Vecchio, visse in cima a una colonna alta dieci metri per più di trent’anni. E, quando nel 459 morì, la Chiesa lo fece santo. Tutte queste stravaganti esperienze, tentate da questi altrettanto stravaganti monaci, si scontrarono presto con la complessa e articolata organizzazione che la Chiesa stava creando, e i caratteri fantasiosi e pittoreschi lasciarono presto il posto alla più importante e influente manifestazione monastica: quella del monastero di Montecassino.

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Tutti i monaci, a partire dal 540, anno in cui Benedetto scrisse la Regola, seguirono questo testo normativo per organizzare la vita ascetica nelle proprie abbazie. L’abate, che era il capo della comunità, assegnava ai monaci anche compiti manuali, pratica che si riassume nel motto benedettino Ora et labora, prega e lavora. Questi lavori manuali consistevano anche nella conservazione e nella trasmissione della cultura scritta, in un periodo nel quale la capacità di leggere e scrivere era ridotta ai soli ecclesiastici. Grazie agli scriptoria monastici benedettini, che le ricopiarono minuziosamente a mano, le opere dell’antichità classica hanno potuto essere tramandate, conservate nelle loro grandi biblioteche. Questo salvataggio di quella nostra lontana eredità culturale è stato un prezioso regalo che quei monaci solitari hanno potuto fare alle future generazioni, proteggendo la cultura sia dai barbari del Medioevo che da quelli che, negli anni Quaranta del Novecento, volavano coi loro bombardieri sul cielo desolato e solenne di Montecassino.

Stefano Poma

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