La terribile potenza della bomba atomica

Settantacinque anni fa, il 6 agosto 1945 alle ore 8:16 del mattino, una bomba, chiamata in codice Little Boy, venne sganciata dal B-29 statunitense Enola Gay sulla città di Hiroshima in Giappone. Il centro urbano, uno dei più grandi del Paese nipponico, fu letteralmente spazzato via. 

A distanza di settantaquattro anni dai fatti di Hiroshima e di Nagasaki l’atomica continua a far paura. Che cosa rende quest’arma così terribile? Perché il suo utilizzo è così controverso da non essere stata mai più usata in un’azione di guerra? Tutto cominciò nel 1939 con una lettera di Albert Einstein indirizzata Franklin Delano Roosevelt. Il premio Nobel per la fisica, dietro richiesta di Leo Szilard, volle mettere in guardia il presidente americano sulla possibilità che la Germania nazista stesse creando un nuovo terrificante ordigno che sfruttava l’energia atomica. La paura non era ingiustificata perché Hitler, in seguito ai consigli fatti pervenire al fuhrer dal chimico e fisico tedesco Paul Harteck in una lettera datata 24 Aprile del 1939, si era dimostrato interessato alla creazione di un ordigno atomico. A tal proposito fu istituito l’Uranverein (o Club dell’uranio), un programma di ricerca in grado di riunire numerosi scienziati con il comune obiettivo della realizzazione di una bomba in grado di sfruttare l’energia dell’atomo. Nell’eventualità di un’entrata in guerra degli USA occorreva anticipare i tedeschi.

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Fu solo nel 1942, quando, in pieno conflitto mondiale, fu creata una Task Force di scienziati per un progetto top secret a cui fu dato il nome “Manhattan”. L’entourage, che poteva contare su personalità di spicco come Enrico Fermi, Emilio Segrè, Julius Oppenheimer, dietro un finanziamento di 2 miliardi di dollari poté realizzare in tre anni quello che gli scienziati di Hitler non erano stati finora in grado di realizzare. Serviva comprendere quale elemento radioattivo sarebbe stato il più adatto. Furono due i materiali fissili sul quale l’equipe di scienziati decisero di focalizzarsi: l’uranio-235 ed il plutonio 239. Quasi a guerra finita, il primo prototipo della bomba, collocato su una torretta, fu fatto brillare a Los Alamos alle 5.29 del 16 luglio del 1945. All’esperimento fu dato il nome in codice di “Trinity Test”.

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Così Emilio Segrè, figura di punta del progetto Manhattan raccontò la prima esplosione atomica della storia: «Fermi ed io eravamo in un osservatorio all’aperto a circa quattordici chilometri dall’esplosione. Per precauzione eravamo però sdraiati a terra e rivolti in direzione opposta a quella dell’esplosione. Avevamo anche occhiali neri scurissimi per proteggerci gli occhi. La bomba fu fatta esplodere. Malgrado gli occhiali neri sembrò che tutto il cielo brillasse di una luce assai più viva di quella del sole splendente. In una piccola frazione di secondo, a quella distanza, ricevemmo abbastanza luce da prendere una bella scottatura». Ad una successiva ispezione così si presentava il luogo dell’esplosione: “Della torre [che sorreggeva la bomba] non c’era più traccia e la sabbia alla sua base era stata fusa e trasformata in vetro”.

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Si trattava di un ordigno al plutonio che liberò un’energia tra i 19 ed i 21 chilotoni, vale a dire oltre 19-21 mila tonnellate di tritolo. La palla di fuoco generata dall’esplosione coprì un’area di 200 metri. Non trascorse nemmeno un mese dall’esperimento che gli americani decisero di testare direttamente su un centro abitato gli effetti di questa nuova arma. L’occasione fu data dalla resistenza dei giapponesi i quali, nonostante le pesanti perdite subite e nonostante la sconfitta dei loro alleati, seguitavano a non firmare la resa. Ma fu forse un altro il fattore che la spallata decisiva a qualunque remora da parte degli USA: l’Unione Sovietica, che da alleato si stava trasformando in rivale. Sembrerebbe che il generale Leslie Groves, responsabile militare del “Progetto Manhattan”,  parlando col fisico e Premio Nobel per la pace, Józef Rotblat avesse detto: «Voi vi rendete conto, ovviamente, che il principale scopo del Progetto è quello di soggiogare i russi». Era il Marzo del 1944 e sarà lo stesso Rotblat a raccontare questo aneddoto che avvalorerebbe la tesi secondo la quale gli Stati Uniti stessero già pensando al dopoguerra con almeno un anno di anticipo.

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La bomba avrebbe, infatti, permesso di prendere “due piccioni con una fava”, da un lato stremando definitivamente il Giappone e, dall’altro lato doveva dare un segnale forte ai sovietici per limitare i loro appetiti sull’Europa. Slizard ed una settantina  di scienziati ci ripensarono, ed inviarono una petizione al nuovo presidente Truman, per chiedere di non impiegare la nuova arma. Fu troppo tardi, perché due ordigni erano già in viaggio. “Fat Man” e “Little Boy” furono i nomi con i quali i due sinistri strumenti di morte passarono alla storia. Il velivolo scelto per effettuare il bombardamento fu un B29 ribattezzato “Enola Gay”. Il 6 Agosto ed il 9 Agosto le città di Hiroshima e di Nagasaki furono letteralmente spazzate via. Duecentomila morti furono il bilancio dei due bombardamenti atomici. I due avvenimenti rappresentarono il tragico epilogo del Secondo conflitto mondiale e segnarono l’inizio di una nuova fase mondiale dove l’atomica sarebbe divenuta lo strumento diplomatico per eccellenza, nonché lo spauracchio di intere generazioni.

Stefano Carta

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