King, il rivoluzionario nero

Cinquantatré anni fa, il 4 aprile 1968, Martin Luther King veniva assassinato a Memphis da un colpo di fucile, mentre era affacciato al balcone del motel Lorraine. 

Era il 4 aprile 1968 quando il Mondo intero perse uno degli ultimi rivoluzionari, uno dei simboli principali per la lotta contro la segregazione razziale. Quest’uomo era Martin Luther King e fu ucciso esattamente quarantanove anni fa presso il Lorraine Motel di Memphis a soli 39 anni. Martin visse i suoi primi anni di vita (figlio di un predicatore battista e di una maestra) in Auburne Avenue ad Atlanta, che all’epoca veniva chiamata  “il Paradiso Nero” dato che ci abitavano i borghesi del ghetto, gli “eletti della razza inferiore” per dirla con un’espressione paradossale in voga all’epoca. Nel ’48 si trasferì in Pennsylvania per studiare teologia, dove riuscì a vincere una borsa di studio che gli permise di completare gli studi di filosofia a Boston. Proprio a Boston conoscerà Coretta Scott, che sposerà nel 1953, quando inizierà anche l’attività da pastore presso la Chiesa battista a Montgomery (Alabama). In questo stesso periodo cominciò pure la sua attività politica per la conquista del diritto di voto da parte dei neri e la parità di diritti civili e sociali, oltre che per l’eliminazione di tutte le discriminazioni ancora vigenti negli USA.

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È del 1957, invece, la fondazione del “Southern Christian Leadership Conference” (Sclc), un movimento che si batte in favore dei diritti di tutte le minoranze di ispirazione gandhiana. La non-violenza e il concetto di resistenza passiva, infatti, furono per il reverendo King le fondamenta della propria lotta contro, appunto, la violenza del potere bianco: “Il nostro metodo sarà quello della persuasione, non della coercizione” disse in uno dei suoi celebri discorsi; questo suo atteggiamento di rifiuto della violenza anche per semplice difesa personale gli varrà, insieme all’impegno per l’eliminazione delle disuguaglianze, il Nobel per la Pace del 1964, premio assegnatoli dopo il raggiungimento del culmine del movimento con la marcia su Washington del 28 agosto 1963 in cui pronunciò il famoso “I have dream…”, che divenne un vero e proprio slogan pacifista e di uguaglianza.

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Negli anni successivi, con il movimento che venne contrastato sempre più duramente da attivisti bianchi e polizia (quasi tutte le manifestazioni organizzate da King si conclusero con violenze e centinaia di arresti), anche King cominciò a modificare la propria linea politica, dichiarandosi contrario alla guerra in Vietnam appena scoppiata e cominciando ad astenersi dal condannare le violenze delle organizzazioni estremiste (Malcolm X su tutti). Cominciò, anzi, a puntare il dito proprio contro la Casa Bianca colpevole delle condizioni di miseria e di degrado in cui versavano i ghetti nelle metropoli americane. In quei turbolenti sixties un’altra figura svolse un ruolo fondamentale all’interno del movimento nero; stiamo parlando di Malcolm X, guida anch’egli della riscossa dei neri d’America.

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Tra i due non correva buon sangue, proprio a causa delle opposte visioni dell’attivismo politico e della futura società da costruire: il sogno di Martin Luther King fu definito da X come “incubo americano” dato che quest’ultimo non vedeva nell’integrazione una soluzione e perché riteneva il razzismo insito nella società e dunque professava una reale rivolta dei neri contro la schiavitù dei bianchi in gradi di ribaltare le posizioni. King, invece, professava appunto una completa integrazione tra neri e bianchi in grado di allontanare il germe razzista dalla società e il tutto da farsi in forma non violenza, ma con la semplice disobbedienza civile e vedeva in Malcolm una vittima del sistema che induce a far sentire gli afroamericani dei nessuno e reagire senza comprendere la differenza fra il non opporre resistenza e opporre una resistenza non violenta. I due si incontrarono solo nel 1964 e, nel giro di un anno, Malcolm cominciò a dimostrarsi più incline alla soluzione pacifista. Purtroppo, però, dopo aver parlato con Coretta Scott di questo suo avvicinamento alla linea del marito fu ucciso con sette colpi d’arma da fuoco.

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Come è noto la stessa sorte capitò anche al reverendo King, solo tre anni dopo. La concitazione che seguì agli spari che ferirono mortalmente King a Memphis, permise al suo assassino di fuggire indisturbato. Circa due mesi dopo, però, James Earl Ray fu catturato a Londra: fin da subito si dichiarò innocente e, anzi, assicurò di essere a conoscenza del nome del vero attentatore. Purtroppo però, come ogni mistero americano che si rispetti, il nome del vero assassino non fu mai svelato perché Ray fu accoltellato la notte successiva nella propria cella. A quasi cinquant’anni di distanza, l’omicidio di uno dei principali leader neri rimane tuttora insoluto.

Andrea Tagliaferri

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