L’eccidio di Marzabotto

Settantasei anni fa, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, le truppe naziste in Italia, per rappresaglia, uccisero 770 italiani, tra cui anziani, donne, uomini e bambini.

Dopo l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944, gli attacchi nazisti contro i civili italiani sembravano essere cessati, quando il feldmaresciallo Albert Kesselring decise di infierire un duro colpo alla brigata partigiana Stella Rossa, guidata dal comandante Mario “Lupo” Musolesi, che agiva praticamente indisturbata sui colli bolognesi. La mattina del 29 settembre, quattro reparti delle truppe tedesche, comprendenti SS e militari della Wehrmacht, guidate dal maresciallo Walter Reder, accerchiarono e rastrellarono una vasta area compresa tra le valli del Setta e del Reno: “Quindi – ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle frazioni di Pànico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle cascine, delle scuole”, e facendo terra bruciata di tutto e di tutti. Questa fu l’azione che diede il via alla strage di Marzabotto, il più grande tra i comuni colpiti, o, come sarebbe più corretto chiamarla, all’eccidio di Monte Sole.

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L’assalto nazista durò ben sei giorni, dal 29 settembre al 5 ottobre, e non risparmiò nessuno: i nazisti entrarono pure nelle chiese per raggiungere gli abitanti e trucidarli assieme ai preti che li ospitavano, per un totale di 770 vittime, tra cui anziani, donne, uomini e bambini. La notizia di un così grave attacco prese a circolare immediatamente, nonostante la puntuale smentita delle autorità fasciste della zona e della stampa locale come «Il Resto del Carlino», e solo a Liberazione avvenuta si poté confermare l’esistenza del massacro e delinearne la reale entità.

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Al termine della Seconda Guerra Mondiale si cominciò il processo a carico di Reder, condannato all’ergastolo nel 1951. Nel 1980, poi, il Tribunale Militare di Bari gli concesse la libertà condizionale previa un’ulteriore detenzione di cinque anni; prima della scadenza del termine, però, il presidente del Consiglio Bettino Craxi decise di liberarlo in anticipo su pressione dei governi austriaco e tedesco. Reder morì da uomo libero a Vienna nel 1991. Solo nel 2006, invece, cominciarono i processi ai 17 imputati, tra ufficiali e sottoufficiali, nazisti. Il 13 gennaio dell’anno successivo, il Tribunale Militare di La Spezia condannò all’ergastolo dieci imputati, ritenuti colpevoli di violenza pluriaggravata e continuata con omicidio:

  • Paul Albers, aiutante maggiore di Walter Reder;
  • Josef Baumann, sergente comandante di plotone;
  • Hubert Bichler, maresciallo delle SS;
  • Max Roithmeier, sergente;
  • Adolf Schneider maresciallo capo;
  • Max Schneider, sergente;
  • Kurt Spieler, soldato;
  • Heinz Fritz Traeger, sergente;
  • Georg Wache, sergente;
  • Helmut Wulf, sergente.

Il 7 maggio del 2008, infine, la Corte Militare d’Appello di Roma ha confermato gli ergastoli della sentenza di primo grado, e ha condannato alla stessa pena Wilhelm Kusterer, il quale era stato assolto in primo grado. Il processo si è concluso con la morte di Paul Albers, l’unico ad aver presentato ricorso in Corte di Cassazione.

Andrea Tagliaferri

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