Il golpe Borghese

Cinquant’anni fa, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, l’ex comandante della Xª Flottiglia MAS Junio Valerio Borghese tentò un fallimentare colpo di Stato. 

“Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Le forze armate, le forze dell’ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi. Mentre possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi volevano asservire la patria allo straniero sono stati resi inoffensivi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d’amore: Italia, Italia, viva l’Italia”. Queste sono le parole con cui il Principe Junio Valerio Borghese avrebbe annunciato il successo del suo colpo di Stato, all’alba dell’8 dicembre 1970. Nella notte tra il 7 e l’8 tutto era pronto. Gli uomini (militari e civili)  al soldo dell’ex comandante della X Mas stavano per occupare i centri nevralgici del potere nella capitale (il tenente dei paracadutisti Sandro Saccucci avrebbe il compito di arrestare e deportare uomini politici; il generale Casero e il colonnello Lo Vecchio, entrambi massoni, dovrebbero occupare il Ministero della Difesa; Licio Gelli dovrebbe rapire il presidente della Repubblica Saragat e consegnarlo al Fronte Nazionale; il maggiore Berti ha già posizionato i suoi uomini nei pressi degli studi RAI-TV di via Teulada) e in altre città d’Italia quando, improvvisamente, arriva il contrordine: mentre alcuni congiurati si erano già introdotti nelle stanze del Ministero degli Interni il golpe venne bloccato e rimandato, con l’ordine di rientrare immediatamente alle proprie basi.

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Lo spiegamento di forze di quella notte passò inosservato agli italiani che furono messi al corrente del tentato golpe solo tre mesi dopo, grazie al quotidiano «Paese Sera» che per primo scrisse un articolo a riguardo. Le indagini partirono il giorno seguente, il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati di arresto con l’accusa di usurpazione dei poteri dello stato e cospirazione per il costruttore edile Remo Orlandini, Mario Rosa, Giovanni De Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Junio Valerio Borghese. Quest’ultimo si rifugiò in Spagna dove rimase fino alla morte, avvenuta a Cadice il 26 agosto 1974, non rientrando in Italia neanche dopo che, nel 1973, fu revocato l’ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dalla magistratura. Il processo iniziato solo nel 1977, si concluse il 29 novembre 1984 con la sentenza di secondo grado della Corte d’Assise con una complessiva assoluzione. I giudici disposero l’assoluzione di tutti i 46 imputati dall’accusa di cospirazione politica “perché il fatto non sussiste”, derubricando il tutto a un semplice “conciliabolo di 4 o 5 sessantenni”, motivazioni pesantemente censurate vent’anni dalla Commissione d’Inchiesta Parlamentare. La sentenza, ribaltando la decisione di primo grado, si limitava per il resto a ridurre le condanne che erano state inflitte nel luglio del 1978 ad alcuni imputati minori per il reato di detenzione e porto di armi da fuoco.

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Oggi, in mancanza di un colpevole e di un reato, ancora non si conosce di preciso cosa successe quella notte: non si conosce il reale obiettivo del principe Borghese; non si conosce chi, politici italiani o forze straniere che fossero, dovesse favorire tale operazione; non si conosce il motivo per cui il golpe fu bloccato dal suo stesso ideatore. L’unica ipotesi emersa durante le indagini è dovuta alla testimonianza di Amos Spiazzi (tenente golpista) che parlò di un golpe fittizio, immediatamente represso dalle forze dell’ordine con l’operazione Esigenza Triangolo allo scopo di favorire l’insediamento di un governo autoritario di matrice democristiana in grado di emanare leggi speciali. Il “fermi tutti” di Borghese è da imputarsi proprio a questo, secondo due tesi credibili: la prima vuole che il principe si sarebbe accorto in tempo del tranello cui era in procinto di cadere e quindi scelse di annullare l’operazione eversiva; la seconda tesi, invece, implica l’intervento statunitense anzi, il coinvolgimento in toto della superpotenza nell’ideazione del putsch. Nixon stesso avrebbe concordato con i golpisti l’assetto del nuovo Stato che prevedeva Andreotti al vertice del potere per poi bloccare il tutto successivamente al rifiuto del leader della DC.

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Da tali ricostruzioni emerge la centralità dei servizi segreti italiani (legati alla P2 e ad ambienti mafiosi) e di quelli americani. Ciò è dimostrato anche dal dossier che Giulio Andreotti, all’epoca dei fatti Ministro della Difesa, consegnò nel ’74 alla Commissione Parlamentare in cui si descrivevano il piano Borghese e i suoi obiettivi primari. Esso fu redatto dal numero due del SID, il generale Gianadelio Maletti, mantenendo all’oscuro dell’inchiesta lo stesso direttore Vito Miceli (probabilmente coinvolto direttamente al pari dello stesso Borghese), e raccoglieva le dichiarazioni in merito di Remo Orlandini, coordinatore per il principe verso collegamenti all’estero e in Italia, che coinvolgeva direttamente Miceli. Successivamente a questa inchiesta, Maletti e altri venti generali furono destituiti senza alcuna motivazione apparente. Solo nel 1991 si venne a sapere che le registrazioni consegnate da Andreotti non erano le originali, ma furono tagliate perché considerate “inessenziali e inutilmente nocive” per i personaggi coinvolti, come testimoniò lui stesso; personaggi del calibro, tra l’altro, di Giovanni Torrisi (capo di stato maggiore della Difesa tra il 1980 e il 1981) e Licio Gelli e la P2 (con il compito di rapire il Presidente della Repubblica Saragat). In più le registrazioni rivelavano l’esistenza di un patto tra Borghese e Cosa Nostra (confermato successivamente dalle testimonianze di Tommaso Buscetta e Anotonino Calderone durante il cosiddetto Processo Andreotti) che si sarebbe occupata dell’uccisione del capo della polizia Angelo Vicari in cambio della revisione di molti processo a carico di diversi mafiosi, uno su tutti il Processo Rimi.

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Complotto vero o fittizio che fu, è interessante guardare la carriera fatta dai principali esponenti intervenuti nel presunto colpo di Stato, eccezion fatta per Borghese, morto misteriosamente (per indigestione o forse avvelenato) nel 1974 a Cadice dov’era rifugiato, che riuscirono a raggiungere i vertici del potere politico militare:

Vito Miceli, il direttore del SID che, secondo le testimonianze, avrebbe dato la sua adesione al Golpe, rimosso dall’incarico da Andreotti diverrà deputato alla Camera per il MSI;

Sandro Saccucci, colui che avrebbe dovuto arrestare e deportare gli uomini politici, diverrà parlamentare dell’MSI;

– tutti gli Alti Ufficiali raggiunsero alti gradi di comando delle gerarchie militari;

Giulio Andreotti, che ometterà di inviare alla magistratura il rapporto completo dei servizi segreti nascondendo i nomi delle più alte cariche militari, nonché quello del massone Licio Gelli, fu Presidente e senatore a vita;

– il generale Maletti che aveva svolto l’inchiesta, poi censurata, sul Golpe Borghese, è da più di 20 anni latitante in Sud Africa ed è ha subito, più di chiunque altro, processi e condanne.

Andrea Tagliaferri

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