Il Partito comunista indiano

Il 26 dicembre del 1925, sulle rive dell’immenso fiume Gange, nasceva il CPI, il Communist Party of India.

Nel 1925, in India, nasceva il PCI. No, non il disciolto e “ricreato” Partito Comunista Italiano, bensì il Partito comunista Indiano. Sulla scia della Rivoluzione d’Ottobre guidata da Lenin e del movimento di non cooperazione promosso da Ghandi, il 26 dicembre 1925 nacque a  Kanpur, sulle rive dell’immenso fiume Gange, il CPI (Communist Party of India), in aperta rottura con le pratiche non violente del Mahatma Gandhi e con l’obiettivo di riconquistare la piena libertà dall’imperialismo. Furono gli operai, gli studenti, i contadini rinchiusi nei campi di prigionia inglesi ad avvicinarsi all’ideologia marxista e rivoluzionaria, capendo che la pratica non violenta non avrebbe condotto gli indiani alla reale indipendenza sociale.

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Le linee guida dettate dal Primo Congresso Nazionale del 1925 furono molto semplici: lotta all’imperialismo straniero; nazionalizzazione delle terre; redistribuzione delle ricchezze nazionali; inserimento delle otto ore lavorative giornaliere; introduzione del diritto di organizzazione e di sciopero; suffragio universale; uguaglianza sociale per le donne e giustizia sociale per la classe degli intoccabili. A oggi la spinta del CPI non si è ancora esaurita e la lotta per l’autodeterminazione e l’indipendenza delle regioni abitate per la maggioranza da tribù tribali e per la riforma strutturale dello Stato Federale è ancora la fiaccola che ne illumina il cammino. Dopo la scissione del 1964 che sancì la nascita del Partito comunista d’India, di stampo Marxista, oggi il CPI è guidato da Ardhendu Bhushan Bardhan e non ha abbandonato l’ispirazione leninista delle sue origini.

Andrea Tagliaferri

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