Il referendum sul divorzio

Cinquant’anni fa, il primo dicembre 1970, il Parlamento italiano approvava la Legge sul Divorzio. 

Quarantanove anni fa, in Italia, si compiva una rivoluzione epocale. Il 12 maggio del 1974, infatti, veniva confermata la Legge sul Divorzio approvata in Parlamento il primo dicembre del 1970 dopo un referendum abrogativo che vide scontrarsi i due blocchi politici presenti in Italia all’epoca: a favore dell’abrogazione della legge c’era il blocco reazionario con Democrazia Cristiana, Movimento Sociale e Partito Italiano d’Unità Monarchica; contrari all’abrogazione, quindi a favore della legge del ’70 c’era il blocco delle sinistre con Partito Comunista e Partito Socialista in prima linea, spalleggiati anche dai Liberali e dai Radicali. La legge venne promossa dal Deputato socialista (ex Pci) Loris Fortuna e dal liberale Antonio Baslini, su spinta del Partito Radicale attivo da diversi anni per l’attuazione di una legge che permettesse lo scioglimento dei matrimoni in maniera laica, senza dover ricorrere all’istituto ecclesiastico della Sacra Rota. Fin dalla sua promulgazione, il blocco cattolico si mobilitò per la raccolta delle firme e per effettuare una dura campagna elettorale con l’obiettivo di smembrare definitivamente il fronte popolare composto da socialisti e comunisti, oltre che di irrigidire nuovamente l’istituzione del matrimonio.

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A favore dell’utilizzo del referendum si posero, inaspettatamente, pure i Liberali e i Radicali che addirittura contribuirono a raccogliere pure le firme per andare alle urne. In netta opposizione c’erano Pci e Psi che tentarono di modificare la legge in Parlamento con il “compromesso Andreotti-Jotti”, e che temevano un ennesimo strappo con il Vaticano sia di subire una dura sconfitta elettorale. Il dubbio sulla vittoria veniva da una semplice motivazione. Nella storia politica italiana era la prima volta che si andava a votare per un referendum abrogativo e la paura dei favorevoli al matrimonio era che gli italiani potessero confondersi e votare “sì” per sostenere il divorzio, appunto. Per questo motivo, mentre i manifesti cattolici furono più elaborati, quelli dei divorzisti furono semplici e diretti con quasi la sola indicazione di voto. Il 12 e 13 maggio si andò a votare con una grande tensione per l’esito che avrebbe potuto cambiare drasticamente la società italiana, così come fu per il referendum sulla monarchia o repubblica nel 1946. L’esisto fu determinato dallo spaccamento del fronte del “sì”; buona parte del mondo cattolico, infatti, optò per il “no”contrariamente da ciò che veniva indicato dai vertici democristiani e nonostante i diversi appelli lanciati da intellettuali e accademici cattolici.

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La sola Comunione e Liberazione votò in linea con Dc, Papa e vescovi. Questa spaccatura sancì, dunque, la vittoria del fronte del “no” con ben quasi il 60 percento di voti su un’affluenza dell’87,7. Il risultato sconvolse la Democrazia Cristiana che puntava, soprattutto, a sbriciolare i partiti di Sinistra che invece aumentarono i voti nel 1976 costringendo i successivi governi Dc a chiedere l’appoggio esterno proprio del Pci. Enrico Berlinguer la descrisse come una “vittoria della libertà, della ragione e del diritto, una vittoria dell’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti”; di tutt’altro avviso, invece, fu Papa Paolo VI che parlò di “stupore e dolore”, dopo che si sbilanciò apertamente durante la preghiera del Regina Coeli della stessa domenica 12 maggio: “Noi non romperemo ora il silenzio di questa giornata, destinata per gli Italiani alla riflessione decisiva, in rapporto con uno dei più gravi doveri per i credenti e per i cittadini, in ordine al bene della famiglia. Noi inviteremo soltanto a mettere questa espressa intenzione, implorante sapienza, nella nostra odierna preghiera alla Madonna”.

Andrea Tagliaferri

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