Alla conquista di Gerusalemme

Novecentoventuno anni fa, il 7 giugno 1099, iniziava l’assedio di Gerusalemme e la prima crociata cristiana volgeva al suo epilogo. Gerusalemme venne liberata e le sinagoghe vennero date alle fiamme. E, giunti nella grotta del Santo Sepolcro i crociati pregarono il Signore; poi piansero, fieri di aver compiuto la missione che Dio aveva dato loro.

L’anno mille portava con sé un lungo periodo di pace tra Occidente e Oriente, tra cristiani e arabi. Dai tempi di Carlo Magno le vecchie guerre, che in passato avevano insanguinato il Continente europeo, avevano lasciato il posto a fruttuosi scambi commerciali e intensi rapporti diplomatici. Ma a Est, un nuovo popolo, assediava la pace del mondo Occidentale, premendo alle spalle di quello arabo: il popolo turco. I turchi, di origine mongolica, erano pastori nomadi e guerrieri avventurosi e spietati, da poco convertiti all’islam e decisi ad esportare la loro nuova religione fino a dove le armi potevano consentirlo. Erano anni nei quali si viveva in un forte clima di passione religiosa. I predicatori, i monaci e i pellegrini preannunciavano l’imminente e definitiva rigenerazione del mondo; e, in attesa dell’Apocalisse, del giudizio di Dio, era diffuso un profondo sentimento di espiazione dei peccati.

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Uno dei metodi per ottenere la grazia, e quindi il Paradiso, era quello di raggiungere in pellegrinaggio i luoghi sacri: Santiago di Compostela, S. Martino di Tours, S. Michele Arcangelo sul Gargano, e, il più desiderato, il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Ma coloro che percorrevano le strade d’Europa, per pregare sulla tomba dove furono sepolte le spoglie mortali di Cristo dopo la crocifissione, dovevano fare i conti con l’oppressione dei turchi, nuovi e severi custodi delle terre del Medio Oriente. I cristiani che in quegli anni si mettevano in viaggio, che partivano per il lungo cammino che prendeva forma nel turismo religioso, venivano ostacolati dagli sbandati mercenari dell’esercito turco. Già nel 1088 un pellegrino, Pietro d’Amiens, meglio conosciuto come Pietro l’Eremita, si recò a Roma per consegnare nelle mani di papa Urbano II una lettera del patriarca di Gerusalemme, Simeone, nella quale venivano descritte le persecuzioni musulmane. La situazione in Terrasanta si aggravava di anno in anno e i fieri e bellicosi cavalieri feudali decisero di prendere le armi.

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Imponenti e fieri, incolonnati come lunghi e lucenti treni, i cavalieri francesi, fiamminghi e italiani puntavano Gerusalemme come un faro, mossi da un inarrestabile spirito di avventura e da un sincero fermento religioso. Pietro l’Eremita, al comando di ventimila uomini, molti dei quali emarginati e male armati, ma nei quali pulsava un forte desiderio di riscatto, attraversando il Reno e il Danubio raggiunsero Praga. Giunti alle porte della città chiesero alla popolazione impaurita se quella era Costantinopoli. E, delusi dalla risposta negativa, la saccheggiarono. Quell’orda di pellegrini fanatici, male organizzata e indisciplinata, preoccupò papa Urbano, il quale nel 1095, durante il Concilio dei vescovi tenutosi a Piacenza, bandì la prima crociata ufficiale. Si fece portavoce della sofferenza dei cristiani in Terrasanta, predicò l’intervento armato da tutti i pulpiti, riaccese nei fedeli europei l’orgoglio cristiano. Ai crocesignati, i cosiddetti crociati, riuniti nella cittadina francese di Clermont Ferrand, raccontò con una esasperata oratoria delle persecuzioni musulmane contro i fratelli cristiani di Gerusalemme, li invitò a dimenticare la propria famiglia e i propri beni. Prometteva a chiunque si arruolasse nell’impresa il Regno dei Cieli e la sospensione di eventuali debiti e procedimenti giudiziali.

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Molti crociati, sommersi dagli uni o dagli altri, partirono per questo motivo. L’esercito era pronto. Inginocchiati, dinnanzi al papa che li benediva, i crociati risposero: “Dieu li volt”, “Dio lo vuole”. La spedizione si mosse nel 1097 e giunse alle porte di Gerusalemme solo tre anni più tardi, il 7 giugno 1099. La città venne conquistata dagli uomini di Goffredo di Buglione dopo cinque terribili settimane di assedio. Quando le mura finalmente caddero, i musulmani che fuggivano venivano raggiunti dalle frecce dei cristiani, altri decapitati, altri ancora gettati dalle alte torri. Settantamila, tra arabi ed ebrei, furono imprigionati dentro le sinagoghe, le quali venivano sigillate e bruciate. Gerusalemme era liberata e nelle  vuote strade ricoperte di sangue si udiva un silenzio inumano, rotto soltanto dal suono delle sinagoghe mentre venivano divorate dalle fiamme. Giunti nella grotta del Santo Sepolcro i crociati pregarono il Signore, “venuto al mondo per predicare la misericordia”. Poi piansero, fieri di aver compiuto la missione che Dio aveva dato loro.

Stefano Poma

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