Gli americani a Tokio

Centosessantasette anni fa, l’8 luglio 1853, la marina militare americana giungeva, per la prima volta, nell’esotico e misterioso Giappone, facendo aprire il facoltoso Paese nipponico al grande mercato occidentale. 

Nell’estate del 1853, per ordine del presidente americano Millard Fillmore, quattro grosse navi da guerra salparono dal porto di Norfolk, in Virginia, alla volta del misterioso e sconosciuto Giappone. Alle quattro del mattino dell’8 luglio 1853 la squadra del comandante americano Perry arrivava davanti a Tokio. A terra si vedevano, indaffarati, i soldati nipponici e le fortezze che si armavano. Da una piccola nave giapponese, una voce gridò che il loro comandante voleva salire a bordo. Perry fece annunciare che non poteva essere avvicinato da un giapponese qualunque: occorreva uno dei più alti dignitari dell’Impero. Passò un po’ di tempo sotto il segno dell’incertezza generale, poi un soldato venne ad annunciare che il vicegovernatore di Saboroske voleva parlare con gli americani. Era la prima volta che i giapponesi si adattavano a trattare con degli stranieri. Perry fece sapere al vicegovernatore di avere una lettera del presidente degli Stati Uniti. Il giapponese rispose che niente da parte degli stranieri poteva essere accettato se non nel porto di Nagasaki. Perry fu inflessibile: non si muoverà. Arrivò il governatore in persona. Anch’egli ripeté che non avrebbe mai lasciato quella posizione, poi chiese che gli fosse mostrata la lettera da inoltrare all’imperatore. Il comandante Perry gli mostrò una scatola finemente lavorata, nella quale era conservata la lettera. A quella vista, i modi del giapponese mutarono. Si avvide di non avere a che fare con dei barbari, e, per mostrarsi amico, offrì acqua e cibo. Poi tornò in mezzo ai suoi, sulla terra ferma.

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Il giorno seguente, tre grandi barche si avvicinarono alla Susquehanna, la nave del comandante, e Yezamen giungeva con la fatale decisione di Tokio. Pieno di riverenza, presentò un grosso documento avvolto nel velluto e chiuso in una scatola di legno sandalo. Erano le credenziali del messaggero dell’Imperatore, mandato per conferire con Perry. Il messaggero era il principe Toda di Idsu, primo consigliere dell’Imperatore. L’incontro fu fissato per il giorno dopo. Al sorgere del sole, gli americani videro uno spettacolo fantasmagorico. La intera riva era ricoperta di paraventi ornamentali di stoffa, sui quali spiccavano tre enormi fiori rossi: era lo stemma dell’Imperatore. Nel mezzo di questi paraventi, si scorgevano i tre tetti del padiglione dello Stato, costruito durante la notte. Allineati sulla sponda, cinquemila soldati giapponesi erano schierati per reggimento, immobili nelle loro uniformi dai colori vivaci e nelle brillanti armature. Davanti ad essi, si allineavano non meno di cento battelli governativi. Ogni collina intorno era affollata di popolani giapponesi, riuniti per osservare i barbari.

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Da bordo del Susquehanna venne dato allora il segnale di sbarco. Quindici scialuppe, con la bandiera americana, si staccarono dalle navi; i loro equipaggi sbarcarono e si allinearono sulla riva. Poi seguì una brigata di duecento marinai e due bande musicali che chiudevano la sfilata. Marinai e soldati erano uomini grandi e robusti, scelti con cura per stupire i piccoli giapponesi. Venne dato l’ordine di presentare le armi. La barca con la bandiera ammiraglia si avvicinò al molo; una figura solitaria si levò a poppa e discese a riva. Perry era sbarcato in Giappone. Sotto il baldacchino del padiglione di Stato, sedevano due figure impassibili, gravi e immobili. Erano il principe Toda e il suo collega Ido, principe Iwani. Come il Commodoro apparve, i due dignitari si alzarono cerimoniosamente; quindi si sedettero per non muoversi né parlare durante tutto l’incontro. Il comandante, offrendo con serenità la lettera, annunziò la sua intenzione di partire presto per Macao e di tornare la primavera seguente per ricevere la risposta. I giapponesi chiesero se tutte e quattro le navi sarebbero tornate. “Forse anche di più”, fu la risposta, “perché queste quattro navi non sono che una piccola parte della squadra”. L’informazione venne accolta nel più grave silenzio. Il Giappone, da quel momento, non poteva più sottrarsi all’influenza del mercato occidentale.

Federica Bellagamba

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