L’elenco telefonico di New York

Mussolini è passato alla grande storia come un uomo risoluto, sicuro di sé e determinato a realizzare le proprie idee. Invece, queste caratteristiche gli mancavano. Non possedeva un quadro preciso e tendeva sempre a condividere l’opinione dell’ultima persona a cui chiedeva consiglio. Questo lo portò a fare degli errori catastrofici, come quello di dichiarare guerra agli Stati Uniti d’America.

Mentre il 1941 volgeva al termine e dopo diciotto mesi di guerra, gli italiani vennero sorpresi da una notizia inaspettata: i meglio informati erano convinti che la Russia avesse chiesto l’armistizio e che Mussolini era pronto a dare l’annuncio dal balcone di Palazzo Venezia. Tutti, eccitati e affamati, attesero il duce nella piazza colma. Alle quindici, ecco finalmente Mussolini: “Le potenze del Patto di acciaio, l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista, sempre più strettamente unite, scendono oggi a lato dell’eroico Giappone contro gli Stati Uniti d’America”. La folla, abituata da vent’anni ad applaudire, si liberò in un grande applauso. Ma sarà l’ultimo. “It is very tragic”, confessò l’ambasciatore americano a Roma. “Ancora un’altra guerra, ancora un altro nemico da insultare sui giornali”, sospirò Mario Pannunzio. “Dobbiamo discorrere di questioni militari delle quali ben poco capiamo, che evadono dal nostro mestiere. È come se entrassimo in un’altra persona più stupida di noi. Alla fine della giornata si è stanchissimi per la fatica di aver sostenuto un peso inutile”, esclamò Alberto Moravia. Indro Montanelli racconterà che a fine dicembre, dopo l’intervento americano in guerra, Mussolini chiese separatamente, a Longanesi e ad Ansaldo, che cosa ne pensassero. Glielo dissero, per poi confidarselo. “Io gli ho chiesto” Ansaldo disse “se ha mai veduto l’elenco telefonico di New York… E lui non m’ha saputo rispondere, ha solo scrollato le spalle”. “Io? Io gli ho suggerito di guardarsi attentamente Life” precisò Leo. “E il capo m’ha risposto: «Vi sbagliate, è più bella la rivista del Popolo d’Italia». Non c’è scampo. Abbiamo perso la guerra”.

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Sul suo diario, Longanesi ricorderà così quella giornata: “All’una si è sparsa per Roma la notizia che la Russia ha chiesto l’armistizio e che Mussolini ne darà l’annuncio dal balcone di piazza Venezia. Esco di casa in fretta e vado al Caffè Esperia, ch’è il nostro ritrovo quotidiano. Tutti sono molto eccitati. Il cameriere apre la radio. Silenzio di tomba. Ecco gli squilli di tromba dei grandi eventi, e marce da circo equestre. L’annunciatore descrive la folla che gremisce Piazza Venezia: «Mai entusiasmo è stato pari a quello di oggi. Il popolo freme, non sa contenere il suo ardore…». Non ci sono molti clienti nel caffè, ma i pochi presenti hanno visi preoccupati. Preoccupati di che? Preoccupati, forse, di non apparirlo abbastanza. S’incontra sempre qualcuno capace di accusarti di incomprensione dei grandi momenti storici. Dopo un silenzio profondo, ecco finalmente la voce grassa di Mussolini. Si tratta, questa volta, della dichiarazione di guerra agli Stati Uniti d’America. Luoghi comuni e povertà di argomenti da far paura: «memorabili eventi», «un nuovo corso della storia», «risoluti a tutto», «i soldati del Sol Levante». Un vecchio signore accanto a me approva con dondolii del capo. Moravia è agitato: non riesce a star fermo un attimo. Si dimena, scalcia, si stuzzica con le unghie i foruncoletti che ha in viso e si asciuga il sangue col fazzoletto. Guarda distrattamente un po’ tutti, poi finisce col dire che è stanco della guerra, che è stanco dei nostri discorsi, ch’è costretto ad occuparsi di cose che, in fine, ben poco lo interessano”.

Stefano Poma

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