Fidel Castro e il fallito attacco alla Caserma della Moncada

Sessantasette anni fa, il 26 luglio 1953, i fratelli Fidel e Raul Castro guidarono l’assalto alla caserma Guillermo Moncada di Santiago de Cuba, dando inizio alla Rivoluzione cubana.

Il 26 luglio 1953 viene celebrato come il giorno in cui cominciò la Rivoluzione cubana ed è pure la data da cui prese il nome il movimento castrista che prese il potere nel ’59 (Movimiento 26 Julio o M 26-7). Paradossalmente, però, fu una pesante sconfitta quella che ancora oggi si festeggia per le strade di Cuba. Sessantaquattro anni fa, infatti, i fratelli Fidel e Raul Castro guidarono l’assalto alla caserma Guillermo Moncada di Santiago de Cuba. L’attacco si svolse alle 5 di mattina del 26 luglio, sfruttando la confusione dovuta alle celebrazioni per una festa popolare che era in svolgimento dal giorno prima. I fratelli Castro pensarono di riuscire a prendere i soldati di sorpresa fingendo di essere una delegazione che portava un alto ufficiale in visita alla caserma. I rivoluzionari erano, però, male armati, male addestrati e soprattutto in netta inferiorità rispetto ai soldati regolari (si parlò di un rapporto di 1 a 10) e dunque l’attacco si risolse in un fallimento su tutti i fronti: dei 160 ribelli, in 61 persero la vita durante lo scontro a fuoco e un terzo di loro fu catturato immediatamente (di cui la metà circa fu torturata a morte dagli uomini di Batista). Solo una minima parte dei ribelli, tra cui lo stesso Fidel, riuscirono a rifugiarsi in un primo momento sulla Sierra Maestra, salvo poi essere catturati tutti in meno di una settimana.

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Il processo che seguì la cattura dei rivoluzionari cubani passò alla storia per l’arringa difensiva di Castro, conosciuta come “La storia mi assolverà”:

”Signori Giudici,

mai un avvocato ha dovuto esercitare il suo ufficio in tal difficili condizioni; mai contro un accusato sono state commesse un tal cumulo di irregolarità schiaccianti. L’uno e l’altro sono in questo caso la stessa persona. Come avvocato, non ho potuto vedere il verbale né lo vedrò e, come accusato, da settantasei giorni sono chiuso in una cella solitaria, totalmente e assolutamente isolato, oltre tutte le prescrizioni umane e legali. Signori Giudici: perché tanto interesse a che io taccia? È che manchi completamente la base giuridica, morale e politica per focalizzare seriamente la questione? È che si teme tanto la verità? È che si desidera che anche io parli per due minuti e che non tocchi qui i punti che non lascia dormire a certa gente dal 26 luglio? Non accetterò mai questo bavaglio, perché in questo giudizio si sta dibattendo qualcosa in più della semplice libertà di un individuo: si discute di questioni fondamentali di principio, si dibatte delle basi stesse della nostra esistenza come nazione civilizzata e democratica. È un principio elementare del Diritto Penale che il fatto imputato debba accordarsi esattamente al tipo di delitto prescritto dalla legge. Se non c’è legge esattamente applicabile al punto controverso, non c’è delitto.

L’articolo in questione dice testualmente: «Si imporrà una sanzione di privazione della libertà da tre a dieci anni all’autore di un atto diretto a promuovere un sollevamento di gente armata contro i Poteri Costituzionali dello Stato. La sanzione sarà la privazione da cinque a dieci anni se si porta ad effetto l’insurrezione». In che paese sta vivendo il Pubblico Ministero? Chi le ha detto che noi abbiamo promosso un sollevamento contro i Poteri Costituzionali dello Stato? Due cose risaltano alla vista. In primo luogo, la dittatura che opprime la nazione non e’ un potere costituzionale, ma semmai incostituzionale; nacque contro la Costituzione, oltre la Costituzione, violando la Costituzione legittima della Repubblica. La Costituzione legittima è quella che emana direttamente dal popolo sovrano. In secondo luogo, l’articolo parla di Poteri Costituzionali, vale a dire, al plurale, non al singolare, perché considera il caso di una Repubblica retta da un Potere Legislativo, un Potere esecutivo e un Potere Giuridico che si equilibrano e si contrappesano uno con l’altro. Noi abbiamo promosso una ribellione contro un potere unico, illegittimo, che ha usurpato e riunito in uno solo i Poteri Legislativo, Esecutivo e Giuridico della Nazione, distruggendo tutto il sistema che precisamente cercava di proteggere l’articolo del codice che stiamo analizzando.

Vi avverto che vo a iniziare. Se nelle vostre anime resta ancora un pezzetto di amore per la patria, di amore per l’umanità, di amore per la giustizia, ascoltatemi con attenzione. So che mi si obbligherà al silenzio per molti anni; so che cercheranno di occultare la verità con tutti i mezzi possibili; so che contro di me si alzerà la congiura dell’oblio. Però non per questo la mia voce si risparmierà. In quanto a me so che il carcere sarà duro come non lo è mai stato per nessuno, pieno di minacce, di vile e codardo rancore, però non lo temo, così come non temo la furia del tiranno miserabile che ha preso la vita a settanta fratelli miei.

Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà!”.

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La condanna per Castro fu la morte, pena poi commutata a 15 anni di reclusione nell’Isola dei Pini (attuale Isla de la Juventud) data la contemporanea abolizione, da parte di Batista stesso, della pena di morte. Nel 1955, però, le madri di alcuni detenuti lanciarono una campagna per la liberazione dei detenuti politici a cui aderirono diversi politici, editori e intellettuali. Il Congresso fu, di conseguenza, costretto ad approvare un provvedimento di amnistia che liberò tutti i ribelli. Da quel momento cominciò a tutti gli effetti la Rivoluzione Cubana che portò Castro al potere nel 1959, quando l’esercito dei Barbudos entrò a L’avana decretando la fine della dittatura di Batista. Dopo la vittoria, la caserma Moncada, fu trasformata in un complesso studentesco rinominato “Città scolastica 26 luglio” contenente anche un museo dedicato alla Rivoluzione castrista.

Andrea Tagliaferri

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