La Seconda Guerra Mondiale dell’Imperatore Hirohito

Con l’attacco di Pearl Harbor del dicembre 1941, il Giappone imperiale entrava a fianco della Germania nazista e dell’Italia fascista nel secondo conflitto mondiale. Rimasto solo data la sconfitta dei suoi alleati, il Giappone, il 6 e il 9 agosto 1945 subì due terribili bombardamenti da parte degli gli Stati Uniti, i quali sganciarono due ordigni nucleari sulle città di Hiroshima e Nagasaki. L’Imperatore Hirohito fu costretto a leggere per via radiofonica a tutta la nazione la dichiarazione di resa dell’Impero giapponese. 

Dal 1938 al 1940, l’Imperatore Hirohito, era d’accordo con la posizione dello Stato Maggiore della Marina Militare di resistere alla tentazione di aprire un nuovo fronte, come avrebbe voluto il personale dell’esercito. Nel 1941, dopo i successi conquistati dalla Wehrmacht in Europa, fu invece persuaso dai sostenitori, tra cui suo fratello Yasuhito Chichibu, di un’alleanza militare con la Germania nazista. Nell’autunno del 1941, mentre il Giappone stava affrontando le conseguenze dell’embargo petrolifero che gli Stati Uniti gli avevano imposto per il suo rifiuto di ritirarsi dalla Cina, l’imperatore chiese una serie di conferenze imperiali per discutere la possibilità di dichiarare guerra a Paesi diversi dalla Cina. Il 4 settembre dello stesso anno, il gabinetto giapponese si riunì per discutere i piani di guerra preparati dal quartier generale imperiale e sostenne quanto segue: “Il nostro impero, per la propria difesa e conservazione, si preparerà alla guerra. È deciso di andare in guerra con gli Stati Uniti, il Regno Unito e i Paesi Bassi, se necessario. Allo stesso tempo, il nostro impero intraprenderà tutte le possibili iniziative diplomatiche nei confronti degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e si adopererà quindi per raggiungere i suoi obiettivi. Nel caso in cui questi negoziati diplomatici non soddisfino le nostre richieste prima dei primi dieci giorni di ottobre, decideremo lo scoppio immediato delle ostilità contro gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i Paesi Bassi”. Gli obiettivi da raggiungere sono chiaramente spiegati: le mani libere per continuare la conquista della Cina e del sud-est asiatico, nessun aumento delle forze militari statunitensi o britanniche e la cooperazione dell’Occidente in merito “all’acquisto di prodotti di cui il nostro impero ha bisogno”.

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Il 5 settembre, il Primo Ministro Fumimaro Konoe presentava informalmente questo progetto di risoluzione all’Imperatore alla vigilia della conferenza imperiale che avrebbe dovuto approvarlo. Quest’ultimo convocò quindi i capi di Stato Maggiore dell’esercito e della marina in un incontro privato, durante il quale disse loro della sua incertezza riguardo all’importanza di aprire un nuovo fronte contro l’Occidente. Apostrofando il generale Sugiyama, ricorda in particolare che il suo staff gli aveva promesso che la guerra con la Cina sarebbe finita in tre mesi. Alla conferenza imperiale, il giorno successivo, gli oratori erano piuttosto divisi. La marina giudicava prematura una guerra su larga scala mentre l’esercito era a favore. Il barone Yoshimichi Hara, presidente del Consiglio imperiale e rappresentante dell’Imperatore, li interrogava con cura, ottenendo da alcuni la risposta che la guerra doveva essere considerata l’ultima risorsa. È in questo momento che il monarca sorprese l’assemblea rivolgendosi all’imperatore di persona, il quale sottolineò l’importanza di proseguire i negoziati internazionali, quindi recitò una poesia scritta da suo nonno, Imperatore Meiji. Poche settimane dopo, Konoe, contrario alla guerra contro l’Occidente, presentò le sue dimissioni all’imperatore. Per sostituirlo, la scelta unanime dello staff cadde sul principe Naruhiko Higashikuni, zio dell’Imperatore. Quest’ultimo rifiutò questa scelta, indicando che la famiglia imperiale non avrebbe dovuto essere esposta a prendersi la colpa in caso di conflitto armato. Piuttosto, fu scelto il generale Hideki Tōjō, ministro dell’esercito e sostenitore di una politica dura, ma noto per la sua dedizione all’istituzione imperiale.

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Nelle settimane seguenti, l’Imperatore analizzò in dettaglio, insieme al suo staff, il piano di attacco contro Stati Uniti, Gran Bretagna e Olanda e l’8 dicembre un attacco combinato delle forze giapponesi colpì la flotta americana a Pearl Harbor, scatenando l’invasione del sud-est asiatico e segnando l’inizio della guerra nel Pacifico. Una volta che la nazione fu completamente impegnata in guerra, l’Imperatore si interessò molto allo stato di avanzamento delle operazioni militari e cercò di elevare il morale delle sue truppe. La prima fase della guerra portò solo buone notizie ai giapponesi. Allo stesso tempo, la propaganda giapponese presentò al pubblico battaglie perdute come grandi vittorie. La realtà, molto meno brillante, apparve solo gradualmente agli abitanti dell’arcipelago. Le incursioni aeree lanciate dal 1944 dagli Stati Uniti rivelarono l’aspetto fantasmagorico di queste vittorie. Più tardi nello stesso anno, il governo di Hideki Tōjō dovette dimettersi. Due primi ministri si susseguirono per proseguire lo sforzo bellico, Kuniaki Koiso e Kantaro Suzuki, sempre con il consenso dell’Imperatore. Nessuno dei due poté, però, evitare la sconfitta. In seguito al bombardamento di Hiroshima e Nagasaki e in reazione diretta all’invasione di Manchukuo da parte dell’Unione Sovietica, l’Imperatore chiese una conferenza imperiale nella notte dal 9 al 10 agosto, durante la quale annunciò la sua intenzione di accettare i termini dell’ultimatum di Potsdam a condizione che la dichiarazione di consegna “non violi le prerogative di Sua Maestà come sovrano”. Il 12 agosto, l’Imperatore informò la famiglia imperiale della sua decisione e, il14 agosto 1945, si rivolse, per la prima volta in assoluto, direttamente ai suoi sudditi durante un discorso televisivo in cui riconosceva la resa del Giappone nel famoso discorso noto come Gyokuon-hōsō. Alla fine, nominò suo zio, il principe Naruhiko Higashikuni, come Primo Ministro, al quale toccò il disonore di gestire la resa del grande Giappone imperiale.

Federica Bellagamba

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