Il tramonto ad Amatrice

Nella cittadina laziale, colpita dal terremoto nel 2016, la bellezza del tramonto non è uguale per tutti.

Stanco per avere studiato tutto il giorno, decisi di uscire a prendere un po’ d’aria. Passando per i piccoli e solitari sentieri, gli stessi nei quali gli americani in guerra coi nazifascisti si appartavano per consumare la colazione composta da uova e pancetta, arrivai in cima alla collina, dove attraverso le alte piante mosse dal vento si può vedere, in lontananza, la mia città, Amatrice. Sedetti sopra una zolla erbosa, mentre il sole declinava al tramonto. Calava rosseggiante fra le cime dei monti e il cielo intorno pareva si incendiasse. Alcune leggere nuvolette passavano, orlate d’oro. Verso oriente, il cielo si faceva scuro, e, ad una ad una, apparivano le stelle, mentre la luna, alzandosi nell’orizzonte, spiccava come una falce d’argento.

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I miei compaesani ritornavano alle loro abitazioni, alla cena e al riposo. Fra me pensavo alla bellezza dell’ora del tramonto, ma che per alcuni doveva essere ben triste. Quale momento doloroso deve essere, poi, per gli sfollati, quando cala la sera che li priva di quel po’ di luce che penetra nelle piccole casette di legno, tra fogne che traboccano e impianti di riscaldamento che saltano. I poveretti che non hanno sulla testa il loro vecchio tetto, che non possono riposarsi sul loro vecchio divano e che ripensano alle loro cose soffocate dalle pesanti macerie, vedono con terrore questa ora che per tanti altri è ora di pace e di beatitudine. Mi levai di lì e rincasai, pensando che ciò che per me era spettacolo di bellezza, ad altri recava soltanto dolore.

Luigino Paolucci

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