Gheddafi, le ultime ore di un dittatore

Nove anni fa, nella notte tra il 19 e il 20 ottobre del 2011, il dittatore libico Mu’ammar Gheddafi venne catturato e ucciso dal suo stesso popolo. Prima lo spogliarono, poi lo lacerarono e infine diedero inizio al linciaggio pubblico mentre lui implorava: “Salvatemi la vita, vi darò tutto l’oro che possiedo”. 

Il 10 dicembre del 2010 i telegiornali europei davano una notizia che veniva accolta nell’indifferenza generale:  in Tunisia, nella strada principale di Sidi Bouzid, il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si cosparge di benzina e si dà fuoco. Passano i giorni e quelle piccole fiamme diventano un grande incendio che investe i regimi dittatoriali del Nordafrica. La Rivoluzione dei gelsomini tunisina dà inizio alla protesta, alla voglia di libertà, di democrazia, alla Primavera araba. Ben Ali in Tunisia, Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia. I grandi dittatori lasceranno il posto ai gruppi armati dei ribelli. Lo scrittore algerino Yasmina Khadra ci ha regalato, con la sua immaginazione, l’ultima terribile notte del comandante libico Muammar Gheddafi. “Ho sentito bisbigliare una delle mie guardie del corpo: trincerata nel buio, sosteneva che stavamo vivendo la notte del dubbio, e si chiedeva se l’alba ci avrebbe portati sotto i riflettori o consegnati al rogo. Le sue parole mi hanno infastidito, ma non l’ho richiamato all’ordine. Non era necessario. Con un minimo di buonsenso, si sarebbe astenuto dal pronunciare una simile bestemmia. Non c’è affronto peggiore che dubitare in mia presenza. Se sono ancora vivo vuol dire che niente è perduto. Sono Muammar Gheddafi. Questo dovrebbe bastare a mantenere la fede. Sono colui per mezzo del quale arriva la salvezza”.

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Gheddafi governò la Libia per quarantadue anni e la sua aspirazione era quella di unire tutto il popolo arabo sotto la propria bandiera. Nacque da padre ignoto in una famiglia beduina e, tra i beduini, crescere senza padre era già un marchio d’infamia. Coraggioso e ostinato, ambiva al potere e per conquistarlo si arruolò nell’esercito. Guidò il colpo di Stato del 1 settembre 1969 e venne proclamato Guida e Comandante della Rivoluzione. Ma, come tutti i grandi sognatori che giungono il potere, ha impedito al popolo libico di sognare e di avere delle ambizioni; Gheddafi si è sostituito al popolo in nome del popolo. La sua fine sarà tragica: i libici che prima lo acclamavano, quella notte tra il 19 e il 20 ottobre del 2011, prima lo spogliarono poi lo lacerarono e infine diedero inizio al linciaggio.

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“Cado a terra al rallentatore. Rinasco dalle ferite, nuovo come una creatura appena uscita dal ventre della madre. A poco a poco, l’una dopo l’altra, le grida si spengono, poi i volti, poi la luce del giorno. Muoio, ma la mia impronta rimane. Avendo segnato le coscienze, sono destinato a risiedere nella memoria dei popoli. Mi rimpiangeranno: le mie gesta saranno cantate nelle scuole, il mio nome verrà inciso sul marmo delle steli e santificato nelle moschee, la mia epopea ispirerà poeti e drammaturghi, i pittori mi consacreranno affreschi più grandiosi dell’orizzonte; sarò venerato pianto durante le penitenze, e avrò tanti seguaci, come si addice alle guide d’eccezione. Me ne vado”. Il regime di terrore del Colonnello terminò così. L’uomo che per tutta la vita si era elevato a portavoce di un qualche messaggio divino, quella notte mentre veniva circondato e catturato dai ribelli, capì finalmente di essere soltanto un uomo. Ma, ormai, era troppo tardi.

Stefano Poma

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