Il diario di guerra del medico piemontese

Mentre il mondo era impegnato nella Grande Guerra, nel luglio del 1915, per un breve periodo, le armi, sul fronte italiano, tacevano. I soldati presero l’abitudine di tenere dei diari, nei quali annotavano impressioni, eventi e riflessioni. Tra questi, c’era il medico piemontese Giovanni Battista Caffaratto.

Quando gli italiani salutarono il millenovecentoquindici, il mondo era in guerra. Il conflitto, scoppiato in Europa, si estese all’Estremo Oriente, al Pacifico meridionale e all’Africa subsahariana. Gli Imperi centrali e le forze dell’Intesa guardavano all’Italia, che entrò nel conflitto, dichiarando guerra all’Austria-Ungheria il 24 maggio. Un mese più tardi, l’esercito guidato da Luigi Cadorna scatenò la prima battaglia dell’Isonzo, con gli obbiettivi di conquistare il campo trincerato di Tolmino, quello di Gorizia e il Carso. Dopo luglio, l’iniziativa passò agli Imperi centrali. Una inarrestabile offensiva austro-tedesca sul fronte orientale sconfisse l’esercito russo, il quale perse la Polonia, la Lituania e la Lettonia. Sul fronte italiano, nel frattempo, le armi tacevano e tra i soldati si diffuse un piacevole passatempo: la stesura dei diari di guerra, come quello del medico piemontese Giovanni Battista Caffaratto. Era un piccolo quaderno da appunti a quadretti, nel quale annotava impressioni, eventi e riflessioni. Le annotazioni coprono l’arco cronologico che va dal 29 luglio al 9 settembre 1915. Sono scritte a matita e a penna, con una scrittura rapida e minuta. Il linguaggio è scarno e sintetico.

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Caffaratto descrive la propria partenza da Cavour e l’arrivo a Belluno, nonchè i numerosi spostamenti che lo riguardano nelle prime settimane di guerra. In queste pagine emerge un senso di aspettativa rispetto a ciò che accadrà al fronte: 3-4 agosto. Continuo a poltrire indecentemente a Taibòn, in attesa della definitiva destinazione. Ieri e oggi ho fatto una passeggiata di allenamento su per i monti. Oggi ho sentito da lontano il primo colpo di cannone.

Nei giorni a venire sarebbe avvenuta l’assegnazione alla direzione sanitaria del primo Battaglione del 50° Fanteria. Nelle note successive all’11 agosto iniziano a comparire le descrizioni degli eventi bellici, con tono spesse volte ironico: 11 agosto. Si vedono le trincee austriache. Quando una granata scoppia su di esse, si vede col binocolo saltare in aria terra, sassi, e spesso uomini: sembrano tanti burattini buttati per aria. Che bella colazione al rombo del cannone!

Non mancano le riflessioni sulle condizioni di lavoro e sull’approvvigionamento militare e sanitario dell’Esercito italiano: 11 agosto. Son tremende le granate austriache! Sono costituite da metallo pesantissimo: arrivano sibilando e si schiantano rabbiosamente con certo sinistro suono metallico… Le nostre non credo siano così perfette.

E ancora, non mancano passi sugli esiti delle battaglie e su morti e ferimenti dei soldati italiani: Un capitano di Saluzzo che mangia qui con me mi assicura che il battaglione Fenestrelle degli Alpini è stato distrutto.

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Questo in particolare si riferisce alla battaglia dell’area tra la Pitturina e la Forcella Cavallino, combattuta dai primi giorni di luglio alla notte del ’18, quando  una tempesta si abbatté sulla zona e lo scontro tra i due eserciti si tradusse in una totale sconfitta per gli italiani, che persero l’intero 29° battaglione, con “4 ufficiali e 100 morti ed 1 ufficiale e 61 prigionieri”. Ciò che il diario non racconta, viene descritto dal figlio Tirsi Mario, che in uno scritto senile ricordò: Ma torniamo ai miei viaggi. Ricordo poco, ma solo che fu una notte lunghissima, quella che ci portò, mia madre, mia sorella di 3-4 anni ed io, da Cavour a Catania, viaggio che in realtà durò due giorni e due notti. Mio padre era stato al fronte al Col di Lana, Cortina ecc. con un battaglione di fanteria, quando il battaglione venne decimato, proprio dopo la presa del Col di Lana e ricostituito con elementi di riserva, continuò a svolgervi le mansioni di capitano medico e di aiutante maggiore. Ma ritornò l’inverno, la neve, il freddo. Quei soldati di rimpiazzo, essendo tutti anziani e siciliani, non abituati al clima, ai disagi della montagna, si ammalarono in gran numero, così che lo Stato maggiore decise di rimpatriarli. E dalle nevi del Cadore ritornarono sotto il sole di Mongibello, a Catania. Successe però il fatto che ora mio padre, non abituato al clima, e soprattutto al modo di mangiare di quella gente, si ammalò di una forma abbastanza seria di gastroenterite. Perciò la sua chiamata della moglie, che necessariamente si trascinava dietro il resto della famiglia.

Vittorio Scacco

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