Roma nascosta: le meravigliose suggestioni dal Palatino

Andiamo a spasso per la capitale. Le bellezze nascoste della città eterna in un reportage fotografico commentato.

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Lo sguardo che abbraccia il colle Palatino non può che rimanere sorpreso nell’ammirare i ruderi dei palazzi imperiali che, in contrasto con il manto erboso del Circo Massimo, si stagliano imponenti sullo sfondo. L’anima dell’osservatore ne resta rapita in muto stupore. Non sarebbe sbagliato dire che, chi è sensibile al terribile fascino che esercitano la storia e la bellezza di Roma, finisce preda di un’estasi che sfocia nella commozione. Il ruolo del visitatore attento lo esige come un sacro rito.

 

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Fin dalla sua esistenza Roma ha sempre spinto l’uomo a confrontarsi con essa e con il carico di storia millenaria. Tito Livio, le cui parole risuonano incredibilmente attuali, ce la descrive così: «Una città che, partita da modestissimi inizi, è tanto cresciuta da essere ormai oppressa dalla sua stessa grandezza».

 

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L’Urbe, d’altronde, ama dare mostra di sé, conscia dei suoi difetti, ma anche del potere salvifico della sua bellezza. Disse Tacito in proposito: «A Roma confluiscono tutti i peccati e tutti i vizi per esservi glorificati».

 

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Vi è una maniera più discreta di cogliere l’essenza della Città Eterna, dove la scoperta del bello si accorda con la ricerca degli scorci più nascosti. Questa esplorazione parte inevitabilmente da quel Colosseo, che Madame de Staël definì la più bella rovina di Roma, ma si discosta da un itinerario convenzionale. Il punto di arrivo è la sommità del Palatino, il luogo più antico, proprio dove Romolo, quel lontano 21 Aprile di 2770 anni fa, tracciò i confini della sua città, un aspetto meno conosciuto dell’Urbe ma che ci viene incontro.

 

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Sulla cima del palatino, tra i ruderi di un passato glorioso, vi è incastonato un convento dei frati minori fatto erigere nel 1675 per volontà del Cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII. Il cardinal Barberini, scelse tra i terreni di sua proprietà un’area nella quale sorgevano i resti di una cisterna d’epoca imperiale. Egli dette l’ordine di erigere una chiesa ed un convento che furono dedicati alla figura di Bonaventura da Bagnoregio, santo francescano vissuto nella metà del Duecento.

 

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Per raggiungere il convento, si percorre la via Sacra ma, prima di giungere all’Arco di Tito, una strada si inerpica sul colle; intraprenderla significa godere un panorama unico che si affaccia sui Fori imperiali fino a comprendere il Campidoglio e l’Altare della Patria. Una visuale così fa tornare in mente le parole di Alberto Sordi: «Roma non è una città come le altre. È un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi».

 

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Il fascino del viale che conduce al convento risulta accresciuto in autunno, quando le foglie degli alberi si colorano di giallo e rosso.

 

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Nella parte finale del percorso si costeggia un muro costellato da edicole della via crucis. Tuttavia, è una lapide ad attirare l’attenzione. Essa è datata 1731 e proibisce sotto la minaccia di “pene gravissime”, per ordine dell’allora Cardinal Vicario Prospero Marefoschi, qualunque forma di gioco d’azzardo nella via. Giunti alla fine della via, ci si trova finalmente dinnanzi alla facciata della Chiesa di San Bonaventura sul Palatino.

 

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La chiesa fu consacrata il 20 Novembre del 1689 dall’allora cardinale Vincenzo Maria Orsini (1649-1730), il futuro papa Benedetto XIII. Essa fu originariamente detta “San Bonaventura della Polveriera”, per via della vicinanza al deposito delle polveri da sparo demolito nel 1809. L’interno, ad una navata è piccolo ed intimo. Tra i dipinti esposti spicca “l’Immacolata Concezione” del pittore Filippo Micheli da Camerino.

 

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L’aspetto più bello della visita è il chiostro dell’annesso convento. Visitarlo significa affacciarsi su una grande terrazza alberata con un panorama unico al Mondo.

 

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La visuale del Colosseo, come appare dalla terrazza del convento, è mozzafiato. L’anfiteatro Flavio, risalente al primo secolo d.C. risulta uno degli elementi più spettacolari del paesaggio romano. Osservarne l’imponente mole fa tornare in mente le parole del poeta Orazio: «Che tu possa vedere nulla di più grande della città di Roma».

 

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John Wolfgang Goethe, folgorato dalle visuali di Roma, nel suo “Viaggio in Italia” volle offrire dei capitoli densi di ammirazione per le bellezze della “Città Eterna”. Le sue parole sono la più grande manifestazione d’amore: «Si cammini o ci si fermi, ecco che appaiono panorami d’ogni specie e genere, palazzi e ruderi, giardini e sterpaie, vasti orizzonti e strettoie, casupole, stalle, archi trionfali e colonne, spesso così fittamente ammucchiati da poterli disegnare su un solo foglio. Per descriverlo ci vorrebbero mille bulini; a che può servire una sola penna? E la sera si è stanchi e spossati dal tanto vedere e ammirare».

 

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Chiostro del convento (scorcio).

 

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Chiostro del Convento (scorcio con fontana).

 

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Convento di san Bonaventura sul Palatino. Fontana.

Stefano Carta

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