I grandi scrittori italiani: Carlo Collodi

Centonovantaquattro anni fa, il 24 novembre 1826, a Firenze nasceva Carlo Collodi. 

Quando Carlo Lorenzini nacque, il 24 novembre del 1826, la città di Firenze era assediata da una fitta pioggia che la seppelliva da ormai tre lunghi giorni. La casa dove il piccolo si presentò al mondo si trovava in via Taddea, ed era di proprietà dei marchesi Ginori, antica famiglia nobiliare del capoluogo toscano, dove i genitori del neonato Carlo, Domenico Lorenzini e Angiolina Orzali, operavano come personale di servizio. Il padre lavorava come cuoco, mentre la madre, seppure fosse in possesso di un diploma da maestra elementare, era destinata al reparto sartoria. Da Firenze, il giovanissimo Carlo si trasferì a Collodi, borgo che ispirò, successivamente, il nome dello scrittore, dove la madre aveva le proprie radici e nel quale trascorse l’infanzia nella vecchia e umilissima casetta della famiglia materna. Primo di dieci figli, vide morire sei dei suoi piccoli fratelli e queste sofferenze gli procurarono un carattere inquieto, ribelle alle regole della vita e degli esseri umani. Per cercare di correggerne quell’impossibile carattere nel 1837, a undici anni, venne mandato in seminario nella Val D’Elsa, dove iniziò gli studi ecclesiastici. Affascinato da quel mondo solitario e allo stesso tempo pieno di conoscenza che era la biblioteca dell’istituto, cinque anni più tardi tornò nella sua Firenze, dove decise di seguire un corso di filosofia dai Padri Scolopi, una scuola religiosa nata nel Sedicesimo secolo che si dedicava all’istruzione cristiana dei giovani.

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La Firenze nella quale crebbe Carlo era la grande culla di quei fantasiosi e solenni movimenti letterari che seguivano il grande mito del Risorgimento, che dalla fine del Settecento accompagnavano i primi slanci patriottici. Lì nacquero in grande numero giornali, riviste, piccoli e grandi editori d’avanguardia, e da lì Carlo partì come volontario verso il Regno Lombardo-Veneto, dopo che le Cinque giornate di Milano avevano acceso la miccia che causò lo scoppio della Prima guerra d’indipendenza. Arruolato come volontario, fece in tempo a combattere, il 29 maggio del 1848, con il battaglione toscano nella battaglia di Curtatone e Montanara, dove l’esercito austriaco dell’ottantunenne generale Radetzky venne bloccato, consentendo ai piemontesi di riorganizzarsi, dai soldati del Granducato. La grande impresa di quei seimila uomini non bastò per vincere la guerra e sconfiggere la potente armata dell’Impero degli Asburgo e Carlo tornò nella sua Firenze. Appena si spogliò dalla divisa da combattente fondò il giornale satirico «Il Lampione», una rivista che offriva umorismo, cronaca e notizie, e che si presentava come popolare, radicale e patriottica. Gli strilloni ricevettero la prima copia il 13 luglio del 1848 e al sottotitolo “Giornale per tutti” veniva aggiunto il motto “Il nostro programma è l’Italia libera, una, indipendente”. Tutta l’opera di Collodi, pseudonimo che utilizzò per la prima volta nel 1856 ponendo la firma al racconto “Un romanzo in vapore, da Firenze a Livorno”, fu fortemente influenzata dal mito dell’Unità d’Italia, e si mescolava direttamente al lungo processo risorgimentale. Il 7 luglio 1881, sul primo numero del «Giornale per i bambini», rivista ideata e fondata dal fiorentino Ferdinando Martini, uscì la prima puntata di Pinocchio, intitolata “Storia di un burattino”. Quel racconto, composto senza troppe aspettative da parte di Collodi, fu travolto da un enorme entusiasmo che contagiava in modo impetuoso migliaia di piccoli lettori.

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Per la prima volta, uno scrittore raccontava le vicende di un bambino immedesimandosi in lui, mettendo a nudo i bisogni, i desideri e le ingenuità tipiche della tenera età. Entusiasti di quella insolita storia, i bambini attendevano con ansia ogni nuova puntata, e con esse si immedesimavano in quel burattino che sognava la libertà e che fantasticava sul fatto che un giorno avrebbe visitato il paese dei balocchi. Dopo due anni di pubblicazioni a puntate, Collodi concluse la storia con l’impiccagione di Pinocchio. I piccoli lettori protestarono appassionatamente, e ogni giorno alla redazione del giornale giungevano decine di lettere di bambini delusi. Queste vivaci proteste indussero Carlo a proseguire il racconto, facendolo concludere con la trasformazione del burattino in bambino. Nel 1883 tutte le puntate furono raccolte e pubblicate in un unico libro: “Le avventure di Pinocchio: storia di un burattino”, ed ecco che, a conclusione del periodo risorgimentale, quel burattino che matura attraverso le dure prove della vita, il dolore e la sventura, fino a diventare un bambino in carne e ossa, sembra ricordare il lungo e difficile cammino che l’Italia ha attraversato prima di essere, sotto il regno dei Savoia, finalmente unita, prospera e forte, dopo un processo di crescita necessario e inevitabile che l’ha accompagnato nel processo tra giovinezza e Stato adulto. Pinocchio fu il libro che consacrò Collodi come uno dei più grandi scrittori italiani, e proprio quando riuscì ad assaporare un po’ di meritato successo morì, il 26 ottobre 1890, per un aneurisma cerebrale davanti alla porta della sua casa a Firenze.

Stefano Poma

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