Quell’idiota di Berlino

Novantasette anni fa, nella notte tra l’8 e il 9 novembre 1923, alla guida di reparti della SA, di Freikorps e di forze dell’estrema destra, Adolf Hitler tentava un putsch che, sulla scorta della mussoliniana “marcia su Roma”, avrebbe dovuto rovesciare il governo bavarese di Monaco per poi marciare su Berlino. Il colpo di Stato fallì e Hitler, tratto in arresto, venne imprigionato nella fortezza di Landsberg.

Nella notte fra l’8 e il 9 novembre del 1923, Adolf Hitler, alla guida dei reparti delle SA, dei Freikorps e di altre forze dell’estrema destra, tentava l’insurrezione armata, il colpo di Stato: il putsch di Monaco. L’obiettivo era quello di sequestrare i capi del governo bavarese per poi marciare su Berlino. Il dittatore della Baviera, il dottor Gustav von Kahr, nella birreria Burger-Brauker, aveva appena incominciato il suo discorso, col quale presentava il suo piano di governo: “Il primo ed il più grande compito di fronte al germanesimo è di restituirgli la sua libertà. Se non vi riusciamo, esso è destinato a scomparire dal novero delle grandi razze. Bisogna incominciare con rafforzare l’autorità dello Stato e coltivare l’idea nazionale nelle regioni occupate dai francesi e particolarmente il Alsazia. Il più forte uomo politico della terra non può fare nulla se non…”. La voce di Kahr venne interrotta da un boato, dal suono del grande portone d’ingresso che venne spalancato con un violento calcio. Era Hitler. I mille presenti in sala trattennero il fiato e il preoccupato presidente del Consiglio bavarese, von Knilling, guardava i suoi ministri seduti in prima fila.

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Nella sala impaurita fecero irruzione centinaia di soldati armati con la croce uncinata sul braccio. Pestando i tacchi sul pavimento seguivano Hitler, il quale accelerava il passo per dirigersi verso l’oratore che non parlava più. Hitler avanzava, dalla cintura prese una pistola e sparò un colpo in aria. “Silenzio”, intimò a un pubblico già muto. “Tutti devono tornare al proprio posto; se no, entrano in azione le mitragliatrici”, disse. I suoi ufficiali d’ordinanza spararono dei colpi di pistola verso il soffitto, facendone cadere l’intonaco. Attorno alla birreria si schierarono oltre mille nazisti armati. Hitler annunciò: “Il governo bavarese è rovesciato. Il presidente della Repubblica, Ebert, deposto. Il governo di Berlino ha cessato di esistere. Prego Kahr ed il presidente von Lossow di abbandonare per qualche minuto la sala”.

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Nel frattempo i nazisti armati sequestrarono il presidente del Consiglio bavarese, von Knilling, ed il ministro degli Interni Schweer, trascinandoli in automobile e conducendoli verso destinazione ignota. Altro colpo di pistola, e Hitler prese nuovamente la parola: “Propongo di nominare reggente il dottor Kahr; direttore generale degli affari politici Hitler; supremo comandante militare Ludendorff; ministro della Reichswehr il generale von Lossow; presidente del Consiglio bavarese von Poehner. Ebert, Stresemann e Knilling e gli altri dittatori hanno cessato di esistere. Nostro compito sarà di formare un grande esercito, che marcerà su Berlino”. Il pubblico applaudiva. Entrarono nella grande sala Ludendorff, Kahr, Lossow e Poehner. Kahr prese la parola per primo: “In questa terribile ora così grave prendo nelle mie mani i destini della Baviera come rappresentante della monarchia”. Poi Ludendorff: “In quest’ora metto le mie forze a disposizione del governo nazionale. La coccarda bianca, rossa e nera riavrà colore e onore. Siamo giunti ad una svolta della storia della Germania e del mondo. Voglia Dio proteggere il nostro lavoro. Nulla succede sulla terra senza la sua benedizione. Ma il signore dei cieli è con noi”. Hitler sparò altri due colpi di pistola e aggiunse, tra gli applausi di un pubblico ormai rapito: “O domani in tutta la Germania vi sarà un governo nazionale o noi saremo tutti morti!”. Altri applausi. Hitler sembrava aver vinto: la democrazia sembrava essere finita; sembravano finiti i suoi uomini, sembrava finito il suo linguaggio; sembrava finito il suo stile, dietro mille nazisti armati che sfilavano per Monaco eseguendo il passo dell’oca, seguendo il ritmo degli inni nazisti e lo sventolio delle bandiere con la svastica.

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La notizia del putsch giunse a Berlino intorno alla mezzanotte. Ebert e Stresemann sembravano i più preoccupati. Che sarebbe stato di loro? Hitler e Ludendorff erano in marcia col preciso scopo di prendere il loro potere. “Ma noi, che colpe abbiamo?”, sembrano dirsi. Tre mesi prima avevano formato un governo di grande coalizione, il quale comprendeva tutti i partiti costituzionali, dai tedesco-popolari alla Spd e presieduto dallo stesso Stresemann. Il cancelliere veniva accusato di poco patriottismo, di mettere in primo piano gli accordi internazionali anziché favorire l’economia interna tedesca, di accettare passivamente le sanzioni imposte da Francia e Inghilterra. Stresemann era convinto che la rinascita della Germania sarebbe stata possibile solo attraverso gli accordi e l’amicizia con le potenze vincitrici. In settembre, fra le proteste della destra e dei nazisti in particolare, aveva riallacciato i rapporti con la Francia, ordinando la fine della resistenza passiva nei territori della Ruhr. La Repubblica di Weimar sembrava alla fine, la vecchia politica di Stresemann sembrava estromessa, la democrazia tedesca era in crisi, i vecchi uomini politici perdevano autorità. Il nuovo avanzava, marciando verso Berlino sotto le bandiere con la svastica. La preoccupazione a Berlino saliva; all’una il governo prendeva i primi provvedimenti: il generale Seeckt veniva nominato dittatore militare, col preciso scopo di fermare “le orde armate che conducono alla rovina”. In Turingia vennero inviati oltre quindicimila soldati; reparti dell’esercito del Wurttemberg e del Baden ricevettero l’ordine di tenersi pronti per marciare su Monaco. Tutte le polizie dei vari Stati confederati erano mobilitate. Improvvisamente Kahr e von Lossow cambiarono idea: tradirono Hitler e si schierarono con le forze governative, le quali non trovarono difficoltà nel disperdere il piccolo esercito nazista.

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Nel pomeriggio l’arrivo delle truppe governative provenienti dalla Baviera meridionale dava la sicurezza che il movimento rivoluzionario, il tentato putsch, stava per giungere alla sua conclusione. Nella città veniva proclamato lo stato d’assedio e istituita la Corte marziale. Chi aiutava i nazisti veniva tratto in arresto. A Norimberga le guardie personali di Hitler venivano disarmate e arrestate. Verso le 17 il cancelliere Stresemann, ripreso il totale controllo della situazione, riusciva a mettersi in comunicazione telefonica col presidente del Consiglio bavarese, von Knilling, il quale gli comunicava che ormai non vi erano più che due edifici che offrivano resistenza: il palazzo del Comando militare, dove si trovavano Hitler e Ludendorff, i quali tentavano l’ultima disperata resistenza e una cantina di una birreria. Alle 19 ecco arrivare il telegramma ufficiale della Wolff, il quale annunciava la fine delle ostilità e dei piccoli combattimenti: “Il palazzo del Comando militare di Monaco è stato occupato stasera, dopo un combattimento, dall’esercito bavarese. Da ambo le parti si segnalano deboli perdite. Ludendorff ed Hitler si sono consegnati prigionieri”.

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Il putsch fece conoscere Hitler in tutta la Germania. La più grande guerra della Storia aveva lasciato l’Europa in macerie: debiti di guerra che nessuno sapeva come pagare, riparazioni che affamavano il popolo tedesco, che come tutti i popoli era ansioso di tornare alla pace. I partiti democratici, sempre più litigiosi, non riusciranno a sopravvivere al nuovo linguaggio, alle nuove ideologie, alla nuova politica del “tutto e subito”. Nuovi personaggi entreranno in scena. La mattina del 10 novembre, a Palazzo Chigi, il ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile porgeva il giornale a Benito Mussolini; il giornale riportava questo titolo: “Il colpo di Stato bavarese è miseramente fallito”. “Hai letto di questo Hitler?”, gli chiese il ministro. “Sì”, gli rispose Mussolini: “Ho letto di quell’idiota di Berlino”.

Stefano Poma

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