Franco Zeffirelli, Luchino Visconti e la Sicilia dei pescatori di Aci Trezza

Nel 1947, il regista fiorentino, allora poco più che ventenne, affiancò Luchino Visconti nel capolavoro neorealista “La terra trema”, il più grande esempio cinematografico di messa in scena del linguaggio. 

Nell’estate del 1947, il regista che con Ossessione aveva inaugurato il genere cinematografico del neorealismo, Luchino Visconti, con la sua troupe decise di recarsi in Sicilia per girare un documentario sui poveri pescatori di Aci Trezza, nel quale doveva risplendere la Sicilia omerica e leggendaria de I Malavoglia di Giovanni Verga. La follia verista dell’immediato dopoguerra con il suo culto per la povertà, la sconfitta onnipresente e l’inferno in terra che si avvicina all’Apocalisse profetizzata da Giovanni sono un tutt’uno col film di Visconti, La terra trema, nel quale l’aspetto espressivo e ideologico trova una delle sue più elevate espressioni. La terra trema, proiettato per la prima volta nelle sale il 2 settembre del ’48, rispecchia l’ideologia politica del suo regista ed è un film dichiaratamente marxista. Pone l’accento sulla lotta di classe, in un periodo segnato da un drammatico scontro politico tra Democrazia cristiana e Partito comunista italiano, culminato nelle feroci elezioni dell’aprile di quello stesso anno.

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La didascalia d’apertura di La terra trema suggeriva allo spettatore che “la lingua italiana non è in Sicilia la lingua dei poveri”. Il film adotta un dialetto siciliano strettissimo e incomprensibile che nelle sale cinematografiche permetteva di far riscoprire quell’Italia volgare che il regime di Mussolini aveva tentato di affogare nella banalità dell’uomo nuovo fascista. Il dialetto del piccolo paese affascinava Visconti: una lingua simile al greco, una lingua piena di immagini, la quale evocava un’attrattiva forza mitologica che si abbeverava al succo leggendario dell’antichità. Visconti decise di regredire nella lingua primordiale, un idioma che non aveva subìto contaminazioni borghesi e che aveva conservato il tono immaginoso e violento di epopea, il tono religioso e fatale dell’antica tragedia e l’intimo e musicale ritmo che impone Verga nel suo romanzo, trasformando la primitiva e povera Aci Trezza nella misteriosa e mitica isola di Ulisse.

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Franco Zeffirelli, allora poco più che ventenne, partecipò alla spedizione in terra siciliana come assistente di  Visconti alla cura dei dialoghi, dei costumi e della recitazione. La terra trema fu un primo grande passo verso la sua futura carriera da regista, un laboratorio che riusciva a incarnare la fascinazione di una lingua perduta e ancestrale coi rumori della natura. L’inclinazione epica che si sposava con la lirica portava ad utilizzare il dialetto come uno spartito musicale, dove per disegnare le note fu fondamentale il lavoro del futuro autore de La bisbetica domata. Un tortuoso ed enigmatico lavoro sui dialoghi condusse a un complicato laboratorio linguistico, il quale si articolava in una vivace e instancabile collaborazione tra gli anziani pescatori del villaggio, Luchino Visconti e lo stesso Zeffirelli. Visconti, con I Malavoglia in mano, elaborava uno schema degli interventi e dei dialoghi. Poi consultava gli attori, tutti uomini e donne di Aci Trezza, dai quali ricavava indicazioni e parole chiave. Metteva a punto la versione definitiva del testo che, successivamente, passava a Zeffirelli, il quale si recava dai più anziani del villaggio in modo da avere espressioni più colorite e arcaiche. Questa enorme e complessa officina linguistica durò sei mesi e fece di La terra trema il più grande esempio cinematografico di messa in scena del linguaggio.

Stefano Poma

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