Il bambino maleducato

Quando i bambini si comportano male, sia in privato che in pubblico, i genitori tendono a pensare che sia normale: “in fondo è un bambino”. Ma non è così…

Quando i bambini si comportano male, sia in privato che in pubblico, i genitori tendono a pensare che sia normale: “in fondo è un bambino”. Ma non è così. Un bambino può sedersi educatamente a tavola, può aiutare a sparecchiare la tavola, può chiedere scusa dopo aver dato un spintone ad un altro suo coetaneo e può rispettare gli anziani. L’unica ragione per la quale i bambini non compiono certi gesti è perché i genitori non glieli hanno insegnati. Grazie ad una mole cospicua di ricerche (Camaioni, 1995), sappiamo che i bambini già dai due anni possono essere considerati quasi degli psicologi in erba. Già dal primo anno di vita il bambino sembra orientarsi verso gli altri in modo specifico, diverso dal modo con cui approccia con gli oggetti. A quattro anni si basa sul comportamento degli altri o su altri indizi del suo ambiente per inferirne gli stati mentali. In questi processi di crescita e apprendimento, scambi affettivi, i genitori sono la figura fondamentale, il punto fermo, il perno da cui il bambino inizia a creare il suo modo di essere e apprende i modelli di comportamento.

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Dai due anni, quando la vita sociale del bambino si allarga all’interno di contesti diversi dalla famiglia (asilo nido, ludoteche, scuole materne) è fondamentale che impari a dialogare con gli altri ed è assolutamente necessario che impari alcune regole a cui deve attenersi. Ed è già partendo da questa tenera età che i bambini conquistano la capacità dell’autoregolazione; riescono a dire cosa gli piace fare, cosa vogliono, come si sentono, interiorizzano le prescrizioni e il controllo degli adulti in modo da indirizzare le azioni secondo i modi concessi da loro, pur essendo assenti. Ciò avviene (o dovrebbe avvenire) attraverso l’inserimento del bambino all’interno di chiare e ben precise routine sociali, il ripetersi quotidiano di alcune situazioni. Per esempio, Carlo, tre anni, descriveva così il momento della nanna: “Mi lavo, mi metto il pigiamino, mamma mi da un po’ di latte, mi legge una favola e poi mi addormento”. Attraverso queste regole, all’interno del proprio ambiente familiare, il bambino sarà portato a riprodurle anche all’esterno, e tutto ciò stimolerà la sua autonomia, il grado di responsabilità e la consapevolezza. Questo per sottolineare l’elevata capacità dei bambini fin da piccoli di attuare dei comportamenti che gli vengono insegnati, attraverso la costanza, dai loro genitori o le figure che si prendono cura di loro. Nella società moderna, invece, si tende ad aver quasi timore di sentire un pianto, un lamento, e subito si corre ai ripari, i quali, spesso, sono controproducenti, come ad esempio tamponare un capriccio con un tablet sintonizzato sui cartoni o sul gioco.

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Molto probabilmente, di base vi è anche una debole trasmissione di regole in casa: genitori che mancano di tempismo nei loro interventi, puniscono con ritardo o alternano punizioni e ricompense senza una precisa ragione, magari sotto la spinta del loro stato d’animo. I bambini hanno bisogno di percepire le loro figure di riferimento estremamente affidabili e coerenti, devono ammirarli nella loro destrezza e fermezza: più un bambino percepisce affidabile il genitore più ne seguirà le indicazioni e più valore darà a ciò che esso gli comunicherà. Ad oggi si assiste anche ad un’estremizzazione dei fenomeni di aggressività: il  fenomeno del bullismo in crescente sviluppo è la cosa che più preoccupa. I genitori, e in questo caso anche gli insegnanti, compagni di scuola e chiunque faccia parte del contesto sociale, ne sono i responsabili. Un comportamento sbagliato viene alimentato e si sviluppa quando trova terreno fertile, quando cioè non viene messo in discussione, quando i comportamenti degli altri rimangono impassibili, quando gli occhi di chi guarda e sa rimangono chiusi, quando gli adulti riconducono episodi sgradevoli all’etichetta di “ragazzate”, peccati veniali sui quali è lecito chiudere un occhio.

Ignazia Ruggeri

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