Le guerre di Papa Carafa contro i re eretici e infedeli

Quattrocentosessantacinque anni fa, il 16 gennaio 1556, Filippo II venne incoronato re di Spagna. La Chiesa era lacerata dalla divisione tra cattolici e protestanti e il sogno del Papa, Paolo IV, fu quello di cacciare dai propri regni i cosiddetti “imperatori eretici”, i quali, secondo la sua visione, miravano alla rovina della Chiesa aprendosi ai messaggi di Lutero e Calvino.

Quando il 16 gennaio del 1556, Filippo II venne incoronato re di Spagna, trovò il suo regno in uno stato di tensione con la Santa Sede. Questo dissidio, fece venire meno la lunga tradizione dei re cristiani, iniziata nel XV secolo sulla scia del lento processo della reconquista cristiana. A interrompere questo ciclo storico fu Carlo V, padre di Filippo, solito professarsi “il primo e più fervente difensore della Chiesa di Roma”, ma, dopo la Pace di Augusta del 25 settembre 1555, vero fautore della religione luterana. Il trattato infatti, si basava sul principio del cuius regio, eius regio, cioè “a chi appartiene la religione, sua sia la religione”, ossia il riconoscimento ai principi tedeschi del diritto di aderire o alla confessione cattolica o al luteranesimo, escludendo qualsiasi altro credo, come quello calvinista. Questo indusse il nuovo Papa, Paolo IV, a stringere un’alleanza coi francesi, la quale sfocerà nella guerra contro il regno di Napoli, che sarà l’ultimo conflitto a vedere opposti il papato e un Asburgo. Ma con l’abdicazione di Carlo V e la divisione dei suoi domini tra il figlio Filippo e il fratello Ferdinando portarono la Spagna, concessa al primo, ad una nuova collaborazione con la Chiesa di Roma, voluta dal nuovo sovrano, ma anche dalla borghesia cittadina, stanca delle guerre civili e bramosa di pace interna.

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A Barcellona, ora, sedeva un nuovo re cattolico. La guerra condotta da Paolo IV contro Carlo V prima e Filippo II poi, ha un valore ideologico profondo, poiché fu determinante nell’indurre in re di Francia Enrico II a riprendere le armi contro la Spagna. Il Papa era nemico personale di Carlo V, il quale gli aveva negato l’arcivescovado di Napoli e si era dichiarato ostile ad una sua eventuale nomina a pontefice. Papa Carafa, dunque, sognava di estendere il proprio dominio alla propria patria, alla propria città, in quel momento sotto il giogo spagnolo, guidato da un “imperatore eretico” che mirava alla rovina della Chiesa e che si faceva protettore di personaggi che propugnavano religiosità mistiche, aperte ai messaggi di Lutero e Calvino. L’atteggiamento del Papa verso la Spagna non cambiò nemmeno dopo la salita al trono di Filippo II, dato che il pontefice considerava tutti gli Asburgo come degli eretici. Il 10 aprile del 1556, Paolo IV mandò suo nipote, il cardinale Carlo Caraffa, presso il Re Enrico II, il quale lo persuase a rompere la tregua e a scendere subito in guerra contro i rivali spagnoli e tedeschi. Fece capire al sovrano francese che non avrebbe avuto alcun vantaggio dalla tregua e che Filippo avrebbe avuto tempo di prepararsi alla guerra e di consolidare il suo dominio in Italia. Enrico II, persuaso dal cardinale, decise di riprendere la guerra, la quale si dimostrò un autentico fallimento.

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Il primo fattore che fece oscillare la bilancia a favore degli spagnoli fu l’entrata in guerra dell’Inghilterra, decisa a difendere il regno di Filippo II. Il secondo, invece, fu la totale sottovalutazione che l’alleanza franco-pontificia fece dell’esercito spagnolo. Il primo ad essere esposto all’offensiva di guerra fu Paolo IV, col suo Stato pontificio attaccato dalle truppe spagnole dal Regno di Napoli, con il proposito di catturare il pontefice. In aiuto del Papa era sceso in Italia al comando d’un esercito francese il Duca di Guisa, il quale riuscì a penetrare nell’ Italia spagnola, ma dove trovò un’ardua resistenza; dopo la mancata battaglia con il duca d’Alba, ritornò nello Stato pontificio. Ma il territorio italiano era d’importanza secondaria, l’esito della guerra doveva decidersi in territorio francese. Qua, le truppe anglo-spagnole guidate da Emanuele Filiberto di Savoia annientarono quelle francesi a San Quintino, loro ultima roccaforte. La notizia della vittoria spagnola produsse grande costernazione a Roma, tanto più quando Enrico II richiamò il duca di Guida in Francia. Il pontefice, temendo di combattere da solo contro il duca d’Alba, incaricò Cosimo de Medici di negoziare una pace con la Spagna, la quale venne firmata il 14 dicembre 1557.

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Il trattato, non solo restituiva al pontefice le terre conquistate, ma anche una promessa di Filippo II il quale s’incaricava di mandare un’ambasciatore per chiedergli perdono di aver fatto guerra alla Chiesa. Il duca d’Alba, che sperava di entrare a Roma da vincitore, vi entrò, per ordine di Filippo II, quasi da vinto, e dovette chiedere scusa a Paolo IV, il quale lo accolse benevolmente e mandò alla viceregina la rosa benedetta. Con la pace, due anni più tardi, firmata a Cateau-Cambrésis, che metteva fine al conflitto franco-spagnolo, sanciva il silenzio delle armi. La cappa della dominazione spagnola calava sull’Italia, mentre la Francia piombava nel sanguinoso baratro delle guerre di religione. Allo stesso tempo, un altro esercito si muoveva, non fatto d’armi ma di parole e di fede, quello della Chiesa, il quale attraversava con sgomento l’insicurezza causatagli dalle nuove dottrine protestanti. Si dovevano porre le basi ad una decisiva uniformazione religiosa, la quale avrebbe garantito la continuità dell’egemonia cattolica, e la formarono grazie al loro vecchio nemico: Filippo II di Spagna.

Vittorio Scacco

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