La legalizzazione della prostituzione

Senza ipocrisie, regolando la prostituzione e tassandone i proventi, si otterrebbero enormi vantaggi fiscali e si eviterebbero numerosi pericoli per la salute dei cittadini.

Hic sunt leones, “qui vivono i leoni”. Sulle carte geografiche dell’antica Roma, questa scritta appariva in corrispondenza delle zone inesplorate dell’Africa e dell’Asia. Di quelle terre non si sapeva nulla, tranne che vi abitavano le belve. Così, nel Belpaese, ci sono argomenti tabù, che non si possono affrontare senza essere travolti dalla canea dei perbenisti ipocriti. Tra questi argomenti, si annovera senza dubbio la tassazione della prostituzione. Il fenomeno esiste da sempre ed è ragionevole ritenere che rappresenti un’ampia fetta dell’economia sommersa del Paese. Ma sempre più la mancata regolamentazione del fenomeno rappresenta una fonte di iniquità fiscali, di pericoli per la salute dei cittadini, di guadagni per la criminalità organizzata e di efferata violenza. Quindi, sarebbe giunta l’ora di gettare la famigerata legge Merlin nel secchio della spazzatura. Solo pochi temerari si permettono di affrontare il discorso e di sostenere chiaramente che il lavoro più vecchio del mondo va regolato e tassato.

*   *   *

È facile regolare la professione e tassarne i proventi: con un semplice intervento normativo si eliminerebbero tanti crimini e si gonfierebbero le casse pubbliche. Allo stato attuale del diritto positivo, la prostituta può esercitare il suo mestiere (non è un illecito), ma non ha l’obbligo di dichiarare i propri redditi e di pagare le relative imposte, perché i proventi da meretricio non sono inquadrabili nelle categorie reddituali. Paradossalmente, sono invece tassabili gli introiti derivanti dallo sfruttamento della prostituzione, reato grave che presenta tuttavia indubbie difficoltà di ordine probatorio: si tratta infatti di proventi illeciti, soggetti a tassazione in virtù di una norma del decreto Visco-Bersani. A dire il vero, oggi c’è un solo modo per assoggettare alle imposte i redditi da meretricio: il famigerato redditometro. Grazie a questo meccanismo presuntivo, se la escort è stolta e ritiene di poter tranquillamente intestarsi appartamenti ed auto di lusso, c’è la possibilità che un giorno il fisco le chieda come abbia fatto ad acquistarli con un reddito, rilevato all’Anagrafe Tributaria, pari a zero.

*   *   *

Insomma, esiste una gravissima lacuna normativa e l’inerzia del legislatore appare inspiegabile, se si osserva che il guadagno di un’ora di una escort può anche equivalere al salario mensile di un operaio metalmeccanico e se si considera che una ragazza dell’est sulla via Salaria non è “degrado” della periferia, ma una schiava sfruttata da criminali e una possibile preda di maniaci e assassini. Eppure oggi viviamo una crisi economica angosciosa, in cui i governi politici e tecnici vanno lambiccandosi il cervello alla ricerca di nuove entrate per lo Stato. Se tuttavia pochi finora hanno osato volgere lo sguardo alla prostituzione, come ad un prezioso terreno aurifero per il fisco, è segno che questo è un tema molto pericoloso, da evitare perché non gradito a certi poteri forti, troppo forti. Anche qui, per affrontare questi leoni, occorre una rinnovata forza morale, una pulizia etica che permetta di risolvere il problema civilmente, senza ipocrisie.

Andrea Leccese

L’Universale è un giornale gratuito. Se vuoi sostenerlo con una piccola donazione clicca qui.