Storia dell’influenza spagnola

Articolo tratto dal sesto numero de «Il Caffè» del quattordici novembre 2020. 

Nel marzo 1918 l’Europa stava affrontando il primo conflitto mondiale. Giunta alla fine della Grande Guerra, gli eserciti, stremati, combattevano per conquistare pochi metri di terreno davanti a loro, per poi chiamare quella conquista “vittoria”. Si trattava di una vera e propria guerra di posizione, la quale stava causando milioni di morti. Ma questo non fu l’unico orrore. Infatti, proprio in quel marzo, alcuni giornali spagnoli iniziarono a dare notizia della circolazione di un virus molto pericoloso che stava decimando la popolazione. Il nome che l’Europa e il mondo intero diedero a questa influenza fu appunto “la Spagnola”. Nonostante il nome, il luogo di nascita della pandemia è tutt’oggi oggetto di controversie. Alcuni studi sembrano indicare addirittura gli Stati Uniti e in particolare la contea di Haskell (Kansas) come punto di origine, poiché alcuni casi si registrarono già nel 1917. Altri studi più recenti hanno invece indicato il campo militare di Étaples, in Francia, in cui alcuni medici avevano segnalato la presenza di un nuovo pericoloso virus che poi si rivelò essere la Spagnola, assecondata dagli spazi angusti, la mancanza di igiene e l’utilizzo di armi chimiche, famigerate durante la Grande Guerra.

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Perciò la penisola iberica non fu l’unica ad essere colpita; anche nel resto d’Europa e del mondo, la Spagnola stava iniziando a mietere vittime, solo che i media stranieri inizialmente evitarono di parlarne: i loro paesi erano dilaniati da una guerra più grande del previsto e che sembrava non aver fine, essendo priva di ogni sconvolgimento nei campi di battaglia. La Spagna d’altro canto era rimasta neutrale, perciò non contava morti di guerra. Evitare di parlare di una pandemia che si andava a unire agli orrori della guerra fu quindi una scelta saggia? Ai posteri l’ardua sentenza. In ogni caso, dopo un silenzio iniziale, anche loro dovettero ammettere l’esistenza e la letalità del virus. Simile al Covid-19 odierno, l’influenza spagnola si diffondeva tramite le secrezioni orali e si possono trovare diverse foto di repertorio in cui uomini e donne dell’epoca portavano la mascherina, per evitare di contagiarsi. Tuttavia, una volta contagiati, la Spagnola agiva molto più velocemente del Covid-19; si dice infatti che la morte sopravvenisse dopo solo due giorni dai primi sintomi. Il motivo è il seguente: la Spagnola provocava una fortissima reazione del sistema immunitario, il quale la attaccava con tutte le sue forze e provocava perciò la morte dell’individuo per una tempesta di citochine (reazione eccessiva del sistema immunitario). Perciò si assisteva a un paradosso: a morire in maggior quantità non erano le persone anziane e i bambini, i quali possiedono notoriamente un sistema immunitario debole; al contrario, erano proprio i più giovani a soccombere, avendo un sistema protettivo elevato e pronto a combattere con maggiore forza.

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A causa di questo modus operandi, la Spagnola è tutt’ora considerata la peggiore pandemia del ventesimo secolo e l’influenza più devastante nella storia dell’uomo. Essa, infatti, provocò dai venticinque ai cinquanta milioni di morti in tutto il mondo. Un numero spaventoso. Decimò la popolazione mondiale anche per un altro motivo: la peste del ‘300, usata come cornice da Boccaccio nel Decameron, era forse più diabolica e mortale; però essa non raggiunse mai l’estensione della Spagnola. Quest’ultima può essere considerata la prima pandemia che prese la globalizzazione e la utilizzò come trampolino di lancio. L’India, che all’epoca era colonia inglese, contò 12.5 milioni di morti; negli Stati Uniti i morti arrivarono a 550.000; numerosi morti di pandemia si contarono anche su isole sperdute del Pacifico, per non parlare della Nuova Zelanda e la Samoa. La Spagnola non fu immediatamente così fatale; l’espansione si può suddividere in tre fasi. Quella iniziale nel marzo 1918, la quale rimase in sordina a causa della contemporanea guerra, ma che raggiunse piano piano l’ovest dell’Europa; poi si verificò una seconda ondata, la quale si espanse verso l’Atlantico e le Americhe e in cui la pandemia iniziò a presentare quei caratteri letali che poi le saranno caratteristici, per esempio la velocità del contagio. Quando nell’estate 1918 si registrò il primo caso in Massachusetts, solo sei giorni dopo se ne contavano ben 6.674. Infine, la terza e ultima fase fu quella che si presentò l’inverno seguente, durante il quale la pandemia cessò naturalmente. Vista la breve durata del contagio e i numeri di cui sopra si può effettivamente capire perché viene considerata la pandemia più tremenda della storia.

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A onore del vero, la diffusione fu assecondata anche dalla situazione in cui nacque. Lasciando da parte la Spagna, in Europa essa trovò terreno fertile negli ospedali da campo, in cui le classiche regole sanitarie venivano a mancare, i pazienti erano già dilaniati dalla guerra e le cure non erano assolutamente all’altezza. Territorio analogo erano i paesi africani, latini e orientali, i quali erano molto più poveri, perciò meno attrezzati. Abbiamo visto il numero di morti in India, che corrispondeva al 5 percento della popolazione; in Giappone, su ventitré milioni di persone colpite, ne morirono 388.000, con un tasso del 0,67 percento. A Tahiti il 13 percento della popolazione morì in un solo mese. A Samoa il 22 percento in due mesi e in Camerun addirittura il 44,6 percento. È limpido il fatto che il virus causasse più morti nei paesi più poveri. Una vera e propria carneficina, tanto che dopo la pandemia, l’aspettativa di vita si abbassò di dodici anni. L’Italia contò 600.000 vittime, con un tasso dell’1,5 percento. Il primo allarme venne da Sossano (Vicenza) in cui la pandemia fu scambiata per tifo e fu chiesta la chiusura delle scuole per evitare il contagio. Questi appena elencati sono tutti dati più o meno verificati dai laboratori di tutto il mondo. Nonostante ciò, la Spagnola rimane molto discussa, anche perché non è stata ben compresa; misterioso è anche il modo in cui terminò. Alcuni studi dànno merito ai medici, i quali riuscirono a controllare meglio la polmonite, altri invece ritengono che il virus sia mutato naturalmente in una forma meno letale, perciò la pandemia terminò come era iniziata e possiamo augurarci che questa sorte sia prevista anche per la pandemia dei nostri tempi.

Alessandro Randi

 

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