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L’Accademia della Crusca boccia “schwa” e asterisco: «Meglio il maschile plurale»

Secondo i linguisti italiani “sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale”

Maschile, femminile, neutro, singolare, plurale. I cambiamenti sociali stanno portando ad osteggiate modifiche della lingua italiana. È sempre più diffusa l’abitudine di utilizzare l’asterisco o la schwa (“ecapolvolta) per non definire il sesso maschile o femminile. Secondo i linguisti l’Accademia della Crusca sarebbe meglio ricorrere al maschile plurale. La secolare istituzione fiorentina incaricata di custodire il “tesoro” della lingua italiana è intervenuta sul tema legato al genere dopo molte sollecitazioni, in particolare sull’uso dell’asterisco, dello schwa o di altri segni che sorvolano con equilibrismi spericolati sulle desinenze maschili e femminili. Come spiega il linguista accademico Paolo D’Achille: «È senz’altro giusto quando parliamo o scriviamo, prestare attenzione alle scelte linguistiche relative al genere, evitando ogni forma di sessismo linguistico. Ma non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua – almeno nei suoi usi istituzionali, quelli propri dello standard che si insegna e si apprende a scuola – al servizio di un’ideologia, per quanto buona questa ci possa apparire». L’Accademia della Crusca pertanto ricorda che “l’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale. Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico potrebbe risolvere molti problemi e non soltanto sul piano linguistico. Ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti”. Bocciando il ricorso all’asterisco e allo schwa giudicato impraticabile sotto i profili della grafia, della fonetica, della morfologia e della sintassi) il professore Paolo D’Achille, suggerisce il ricorso al maschile plurale come genere grammaticale non marcato per risolvere la questione “politica” del genere. Se qualcuno dichiara di avere “tre figli”, sappiamo con certezza solo che tra loro c’è un maschio (diversamente dal caso di “tre figlie”), a meno che non aggiunga “maschi”.

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