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Il mondo magico creato dall’artista Niki de Saint Phalle nell’antica campagna toscana.

Verso la fine degli anni Settanta, nel piccolo paese di Capalbio, in Toscana, accaddero due cose curiose: nelle case la posta iniziò ad arrivare tardi e la gente cominciò a bisbigliare di aver potuto vedere dei mostri sulle colline vicine. Anche se nessuno lo sospettava, c’era una connessione tra questi due eventi. Il postino del paese, Ugo Celletti, aveva contribuito a creare quei mostri, enormi sculture che crescevano sul terreno di una tenuta locale della campagna toscana. Aveva scoperto la passione per il mosaico e, mentre applicava schegge di vetro a specchio ai mostri, a volte dimenticava la sua missione postale. Come molte altre persone della zona, Celletti fu influenzato dalla creatrice dei mostri, venuta in Italia per costruire un giardino di sculture che aveva immaginato in un sogno, decenni prima, quando era rinchiusa in un manicomio: l’artista Niki de Saint Phalle.

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Quello che Saint Phalle, morta nel 2002, ha lasciato in Toscana è abbagliante e oscuro. Tra tranquilli uliveti e campi di ocra al pascolo di cavalli e pecore si trova una scultura a forma di casa di una sfinge con i capelli blu a specchio e una corona rosso vivo, un fiore che sboccia su uno dei suoi seni e un cuore di lavanda sul capezzolo dell’altro. L’interno è coperto di schegge di specchio, come se una palla da discoteca colossale fosse stata rovesciata. Durante i due decenni in cui Saint Phalle lavorava nel giardino, la sua camera da letto era dentro un seno, la sua cucina nell’altro. Un castello tentacolare, con una torre a mosaico arcobaleno si trova vicino a una testa blu gigante, nella quale germoglia una seconda testa a specchio coronata da un’enorme mano. In discesa, il diavolo si trova in mezzo ad alcuni arbusti, un ermafrodita dalle ali arcobaleno con un viso dolce, fianchi femminili e tre peni d’oro.

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È come se una bomba psichedelica fosse esplosa nella parte più pittoresca della Toscana. Quando Saint Phalle entrò nel manicomio, all’inizio degli anni Cinquanta, era una moglie di ventidue anni, madre, ex modella e aristocratica francese decaduta. L’arte, credeva, l’avrebbe riportata alla sanità mentale. Voleva realizzare un monumentale giardino di sculture che, a sua volta, avrebbe guarito gli altri, nello stile fantasioso del Park Güell di Antoni Gaudí, a Barcellona, e ogni struttura rappresenterebbe una figura mistica dal mazzo dei tarocchi. Tentò di creare una realtà alternativa, “un giardino della gioia”, disse una volta, “dove chiunque potrà trovare la propria libertà”.

Federica Bellagamba

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Il sangue del condannato

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ste.poma84@hotmail.it

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