I watussi e il politicamente corretto

Articolo tratto dal secondo numero de «Il Caffè» del diciassette ottobre 2020. 

“Siamo i watussi, siamo i watussi, gli altissimi neri”. Se Edoardo Vianello avesse scritto “I watussi” (brano risalente al 1963) nel 2020, probabilmente l’avrebbe scritto così, utilizzando il termine “nero” al posto di “negro”. Quest’ultimo rientra infatti tra quelli che oggi potremmo definire come i cosiddetti “termini proibiti”, ossia tutte quelle parole che per via di un politicamente corretto sempre più imperante non possono essere più utilizzate. Ma che cosa s’intende per politicamente corretto? E soprattutto, quando è nato? Esso è un fenomeno sviluppatosi inizialmente negli Stati Uniti d’America (politically correct), ma che ha trovato ampia diffusione anche nel resto del mondo occidentale. Apprezzato dagli ambienti di sinistra degli anni ’30 ed enfatizzato dai moti sessantottini, il politicamente corretto ha raggiunto la sua massima espansione ed importanza al termine degli anni ’80, quando si è trasformato in un vero e proprio orientamento ideologico e culturale incentrato sulla tutela dei diritti delle minoranze e di tutte quelle categorie di persone ritenute più deboli rispetto ad altre. Per raggiungere tale scopo era necessario sopprimere tutte quelle consuetudini linguistiche ritenute offensive. Quindi, in sostanza, il politicamente corretto consiste nell’esprimere concetti che siano esenti da pregiudizio (razziale, etnico, religioso, di orientamento sessuale, di genere, o riguardante disabilità fisiche o psichiche, più o meno gravi, della persona). Sebbene il fine originario fosse decisamente nobile, nell’ultimo periodo questo fenomeno ha raggiunto una deriva ideologica dalla quale si rischia difficilmente di uscire. Essa si è manifestata in diversi ambiti, generando situazioni al limite del ridicolo. In Australia, ad esempio, alcuni sono arrivati a definire gli scacchi come un “gioco razzista” semplicemente perché i bianchi muovono prima. Certo, e perché bisogna fare scacco al Re e non alla Regina? Ecco l’ennesimo tentativo di svalutare la figura femminile a vantaggio di quella maschile.

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Ma se credete che la questione degli scacchi sia folle, sentite questa. Fiona Onasanya, ex deputato laburista, ha affermato che i cereali “Coco Pops” siano razzisti perché hanno una scimmia come mascotte. Per non parlare della decisione presa dal gruppo l’Oréal (noto marchio cosmetico) di non utilizzare più i termini bianco, sbiancante e chiaro per una sorta di “rispetto” verso tutte le tonalità di pelle. Vicenda altrettanto grottesca è quella che si è verificata al Consiglio comunale di Cesano Maderno (Monza), dove una consigliera del PD, Sara Spadafora, si è mostrata profondamente indignata per un’espressione, da lei ritenuta “sessista”, utilizzata dal consigliere leghista Luca Bonfanti. Questi aveva semplicemente pronunciato la seguente frase: “Un Comune dovrebbe essere amministrato con la diligenza del buon padre di famiglia”. Magari la Spadafora avrebbe preferito che Bonfanti facesse riferimento alla “diligenza del genitore 1 e del genitore 2”, così sarebbe stata contenta. Molto più recente il caso di Fausto Leali, eliminato dal GFVip per aver pronunciato il termine “negro” riferendosi ad uno dei concorrenti del programma. Il noto cantautore non voleva assolutamente essere offensivo, come da lui più volte ribadito, ma nonostante questo è stato espulso. Ciò che spaventa però non è tanto l’esclusione dal reality, quanto la frase pronunciata dal conduttore Alfonso Signorini: “Al giorno d’oggi, ci sono alcune parole che purtroppo non possono essere più utilizzate e negro è una di queste”. Questa frase conferma il fatto che non si debba più parlare di politicamente corretto, ma piuttosto di “ideologia totalitaria del politicamente corretto”. Infatti, il politically correct ha subìto, rispetto a come era stato concepito, una radicale trasformazione, arrivando ad assumere oggi dei connotati fortemente censuratori, tipici delle ideologie totalitarie.

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George Orwell sosteneva che lo Stato totalitario facesse di tutto per controllare i pensieri delle persone, prima ancora che le azioni. Tanto è vero che i sostenitori di questa irrazionale ideologia vogliono imporci cosa possiamo e non possiamo dire, limitando la nostra libertà d’espressione e alimentando un finto buonismo fine a se stesso. Il politicamente corretto ha generato, inoltre, dei veri e propri dogmi che si sono radicati nel pensiero dell’uomo. In primis una definizione erronea di multiculturalismo, consistente in una società che cerca di fondere più culture differenti senza consentire però che ciascuna mantenga la propria identità. Questo è estremamente pericoloso, poiché soltanto una cultura avente un’identità ben delineata potrà rapportarsi, senza pregiudizi, con quelle altrui. L’attribuzione di un’accezione negativa a termini come “negro” o “zingaro” per cercare di esaltare questo multiculturalismo fittizio, non ha fatto altro che privare queste categorie della loro identità e alimentare nei loro confronti dei pregiudizi basati su scelte linguistiche imposte che non hanno alcun senso logico. Tra l’altro, questa spasmodica ricerca di ridefinire il linguaggio, che è ciò che contraddistingue i sostenitori di questa ideologia totalitaria, si traduce nella rimozione, non soltanto di parole, ma anche di modi di dire, e nel corrispondente ricorso ad una serie di eufemismi, perifrasi e neologismi, che vengono approvati esclusivamente dalle élite culturali ritenute più influenti. Ma chi sono queste élite? Chi può arrogarsi il diritto di considerarsi parte integrante di questa ristretta cerchia? Un altro dogma che determina l’esasperazione del politicamente corretto è l’erronea credenza di poter “combattere” la storia attraverso un’ignorante e fanatica furia iconoclasta. Sono moltissime, infatti, le statue di personaggi storici che, in virtù di un politically correct esacerbato e di una fantomatica lotta al razzismo, sono state letteralmente vandalizzate. Da Montanelli fino a Churchill, passando per Colombo, Hume, Colbert e molti altri.

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A rivendicare questi atti sono nella maggior parte dei casi gruppi dichiaratamente “antifascisti” e “antirazzisti”, che come giustificazione affermano di voler dare un forte segnale per combattere razzismo e colonialismo. Posto che accusare le figure sopracitate di questi abominevoli fenomeni sia sbagliato poiché bisognerebbe contestualizzare e studiare la storia a trecentosessanta gradi, se l’intento di queste persone fosse realmente quello di contrastare il razzismo e il colonialismo, sarebbe più corretto ricorrere ad una riflessione storica, piuttosto che armarsi di spranga e bomboletta spray e andare in giro a distruggere statue, non trovate? Un ulteriore dogma creato dal politicamente corretto è quella forma radicale di ambientalismo che proprio non tollero. Si tratta di quell’atteggiamento eccessivamente “preservazionista” di alcuni ambientalisti che credono di fare il bene della natura, ma che non fanno altro che causare danni molto più gravi di quelli che vorrebbero scongiurare. In montagna, così come in collina o in pianura, l’intervento dell’uomo risulta essere indispensabile per cercare di preservare l’ambiente in maniera corretta. D’altronde, basterebbe che questi estremisti leggessero tutte quelle leggende primitive che evidenziano il fatto che il rapporto tra uomo e natura debba essere caratterizzato da un profondo rispetto, ma anche da un sostegno reciproco che, quando riguarda quello del primo nei confronti della seconda, si traduce in intervento. Il politically correct rischia inoltre di creare gravi danni, sia morali che fisici, alla sessualità, in particolare a quella delle donne. Ma andiamo con ordine. Uomo e donna devono avere eguale trattamento. Questo non è tanto il politicamente corretto che ce lo impone, quanto il principio di uguaglianza previsto dalla nostra Costituzione. E fin qui ci siamo. Il problema sussiste quando il politicamente corretto s’inserisce nell’ambito della sfera sessuale, mascherandosi sotto le mentite spoglie dell’uguaglianza, ma essendo in realtà un’ideologia totalitaria a tutti gli effetti. Essa ci impone che uomo e donna debbano essere trattati sessualmente nello stesso modo, quando in realtà non è così. Attenzione, ciò non riguarda l’aspetto sentimentale o carnale. È chiaro che l’amore e il piacere sessuale non abbiano limiti. Un uomo è libero di amare un uomo nella stessa misura in cui è libero di amare una donna. E viceversa, una donna è libera di amare una donna nella stessa misura in cui è libera di amare un uomo.

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L’aspetto da me individuato riguarda una dicotomia fondamentale, ossia il fatto che l’uomo per sua natura genetica non partorisca, la donna invece sì. Ergo, un tema come quello dell’utero in affitto, che l’ideologia totalitaria del politically correct vorrebbe imporci appellandosi ad una presunta uguaglianza (relativa al fatto che così come la donna ha la possibilità di avere figli, debba, attraverso l’utero in affitto, avercela anche l’uomo), non è un qualcosa di dovuto, anzi. E questo non riguarda né la religione, né il concetto di “famiglia tradizionale”. È una semplice riflessione basata su un dato scientifico che può essere condivisa o meno. Dopo aver analizzato alcuni aspetti storico-filosofici del politicamente corretto che potrebbero anche avervi tediato, per non farlo ulteriormente vi invito a viaggiare con l’immaginazione. Pensate per un attimo di vivere in un mondo utopico (ma neanche troppo) in cui l’ideologia totalitaria del politicamente corretto ha preso il sopravvento. Vi recate in un bar e chiedete al barista: “Chiedo scusa, mi può dare un Negroni?”. Allora il barista vi risponde: “Mi spiace, ma non serviamo ai razzisti. Esca dal nostro bar e non si faccia più vedere”. Oppure entrate al supermercato e rivolgendovi ad un commesso: “Mi scusi, ma la Nutella e tutte le altre creme al cioccolato sono terminate?”. E il commesso: “No, è che in quanto creme razziste, non siamo più abilitati a venderle”. O ancora, immaginate di essere a scuola e di assistere ad una lezione di cittadinanza. Ad un tratto, la professoressa pronuncia la seguente frase: “L’art. 3 della Costituzione italiana prevede che tutti gli individui debbano essere considerati ugualmente indipendentemente dal colore della pelle, dalla razza, dalla religione, dal sesso e dalle idee politiche. Quindi essere negri o bianchi non cambia nulla”. Poi, rientrate a casa, accendete la televisione, e al tg sentite la seguente notizia: “Professoressa arrestata per incitamento all’odio razziale”. Capite bene che si tratti di esempi iperbolici, ma nonostante ciò, bisogna fare molta attenzione a non oltrepassare un certo limite, onde evitare che la deriva ideologica prevalga più di quanto non abbia già fatto. La tutela delle minoranze, il multiculturalismo, la lotta al razzismo, la salvaguardia dell’ambiente, e la sessualità, sono principi e temi fondamentali che però non hanno nulla a che vedere con il politicamente corretto per come lo si intende oggi, altrimenti si rischia di vivere in una società distante dalla realtà e caratterizzata da una libertà d’espressione sempre più debole, cosa che in democrazia non è assolutamente tollerabile.

Domenico Caridi

 

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E buona lettura.