La rivolta del ghetto di Varsavia

Settantotto anni fa, il 16 maggio 1943, le truppe naziste reprimevano definitivamente la rivolta del ghetto di Varsavia, con la quale gli ebrei polacchi, guidati da Mordecai Anielewicz, tentarono di resistere alla deportazione nel campo di sterminio di Treblinka.

Come parte della terribile “soluzione finale”, i nazisti crearono dei ghetti nelle aree dell’est europeo, per confinare gli ebrei fino a che non fossero stati giustiziati. Il ghetto di Varsavia, dapprima chiuso con filo spinato ma in seguito isolato con un muro di mattoni alto tre metri e lungo undici, comprendeva l’intero antico quartiere ebraico. I nazisti radunarono gli ebrei dalle aree circostanti in questo distretto fino a quando, nell’estate del 1942, al suo interno si potevano contare cinquecentomila ebrei. Molti non avevano un alloggio e nelle case abitate le stanze potevano ospitare anche dieci persone. La fame e le malattie uccidevano migliaia di ebrei ogni mese. A partire dal 22 luglio 1942, i trasferimenti al campo di sterminio di Treblinka iniziarono con una frequenza di cinquemila ebrei al giorno. Tra luglio e settembre 1942, i nazisti spedirono circa duecentosessantacinquemila ebrei da Varsavia a Treblinka. Solo cinquantacinquemila rimasero nel ghetto. Mentre le deportazioni continuavano, la disperazione lasciò il posto a uno straordinario desiderio di rivalsa; la resistenza voleva colpire il tremendo occupante nazista. Un gruppo di uomini e donne appena formato prese lentamente il controllo effettivo del ghetto.

Il 9 gennaio 1943, Heinrich Himmler, il capo delle SS, visitò il ghetto di Varsavia. Ordinò la deportazione di altri ottomila ebrei. Le deportazioni di gennaio colsero di sorpresa gli ebrei e gli abitanti del ghetto, i quali pensarono che la fine fosse arrivata. Facendo uso dei molti nascondigli che avevano creato da aprile, gli ebrei si nascosero e la resistenza entrò in azione. L’intenzione dei combattenti ebrei era quella di colpire rapidamente, per poi fuggire attraverso i tetti. Le truppe tedesche, d’altra parte, si muovevano con cautela ed erano allo sconosciuto del piano e dei nascondigli segreti del ghetto. Quando le deportazioni terminarono, dopo alcuni giorni, gli ebrei rimasti nascosti nel ghetto prepararono al meglio i piani per l’azione. Da quel momento in poi, la resistenza dominò il ghetto, fortificò i nascondigli e rafforzò le unità combattenti in preparazione della battaglia. Ricordava un loro leader: “I tedeschi sospesero le deportazioni fino al 19 aprile, quando Himmler lanciò un’operazione speciale per liberare il ghetto in onore del compleanno di Adolf Hitler, il 20 aprile”. Prima dell’alba, duemila uomini delle SS e truppe dell’esercito tedesco si trasferirono nella zona con carri armati, artiglieria a fuoco rapido e rimorchi di munizioni. Mentre la maggior parte degli ebrei rimanenti si nascondeva nei bunker, i guerriglieri della resistenza, in tutto circa millecinquecento, aprirono il fuoco: pistole, alcuni fucili, una mitragliatrice e bombe fatte in casa. Distrussero alcuni carri armati e uccisero parecchi soldati tedeschi. L’insurrezione del ghetto di Varsavia era cominciata.

Gli uomini di Hitler si ritirarono soltanto la sera. Il giorno seguente, i combattimenti ripresero e le vittime aumentarono. I tedeschi usavano gas, cani poliziotti e lanciafiamme, nel tentativo di sbaragliare gli ebrei dai loro bunker, lasciando la città sotto una cappa di fumo per giorni. Il terzo giorno la tattica dei tedeschi cambiò. Non entravano più nel ghetto con un gran numero di uomini, ma lo percorrevano in piccoli gruppi. Poi, presero la decisione di bruciare l’intero ghetto. I tedeschi pianificarono di liquidare il ghetto in tre giorni. Gli ebrei resistettero per quasi un mese. I combattenti della resistenza riuscirono a nascondersi nelle fogne, anche se i tedeschi provarono prima a inondarli e poi a disperderli con dei fumogeni. Non prima dell’8 maggio i nazisti riuscirono a prendere il bunker degli uomini della resistenza. Gli ebrei che si nascondevano lì si arresero, ma molti dei sopravvissuti combattenti si suicidarono per evitare di essere catturati vivi; così morì Mordecai Anielewicz, il giovane e carismatico comandante dell’esercito partigiano sotterraneo. La battaglia unilaterale continuò fino al 16 maggio, diventando sporadica quando le munizioni ebraiche furono esaurite. Le cifre delle vittime totali della rivolta sono incerte, ma i tedeschi probabilmente persero diverse centinaia di soldati durante quei drammatici ed eroici 28 giorni. Il Maggiore delle SS, Generale Jürgen Stroop, ordinò di radere al suolo l’intero ghetto. Quindi scrisse il suo rapporto: “Il ghetto di Varsavia non c’è più”.

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