L’Universale editore


Il viaggio in carrozza

La solitudine di Antonio.

Era il primo giorno di primavera del 1928 quello in cui Antonio tornรฒ in cittร . Questa era cupa, grigia. Dopo aver ammirato dal treno quellโ€™immensa distesa che รจ la รจ pianura padana, dopo aver passato paesi illuminati nel primo oscurar del giorno, tra il fischio delle locomotive e il tornar dei ricordi di un turbine di pensieri senza freno, udรฌ il tintinnio regolare della stazione, le solite voci dei facchini. Vide il berretto rosso del capostazione filettato dโ€™oro, e lโ€™ingresso fiocamente illuminato del ristorante. Si sentiva come quando era bambino, di ritorno dal mare; le valigie da caricare e il biglietto dei bagagli da consegnare. E poi cโ€™era la carrozza, che Antonio voleva fosse sempre chiusa e con i finestrini alzati. Sembrava si andasse chissร  dove, lontano, tra il rumore delle ruote in movimento sullโ€™acciottolato. Invece, dopo pochi minuti, si arrivava a casa. La gente, dalle vicine botteghe, veniva fuori a vedere; davano la buonasera e rientravano. Qualcosa di loro rimaneva: la luce a gas che illuminava la bottega, portata fuori a metter tristezza nel portico buio. La vecchia portinaia andava ad aprire la porta. Un odor di chiuso e lโ€™apertura di ricordi recenti raggiunsero Antonio.

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Cosรฌ si sentiva e avrebbe voluto, in quel momento, raccontare agli uomini tutto il suo tormento, avrebbe voluto udire trombe e tamburi al suo passaggio: avrebbe voluto qualcosa di cambiato. Perchรฉ riandando il tempo trascorso sentiva un nodo alla gola e avrebbe voluto che qualcosa cambiasse. Come era poco mutevole quel tempo! E si parlava di vita celere, del dinamismo, ecc.! Almeno per Antonio che, appena uscito dalla stazione, guardando in estasi la propria cittร  piena di ombre e di nebbie, tornava a dei ricordi senza pensiero e senza perchรฉ. Aveva preso una carrozza chiusa coi vetri alzati, in essa aveva caricato una cassetta di libri, e ci salรฌ con una grande nostalgia nel cuore di fatti, luci e cose passate, che proprio non riconosceva talmente piene di pensiero da doverne parlare al mondo. Anche quella volta la carrozza scorreva rumorosamente sullโ€™acciottolato. Le botteghe del corso, il rumore dei tram, lโ€™orologio del palazzo ducale. E la gente che rincasava per lโ€™ora di cena era sempre uguale: andava come sempre, batteva la sua continuitร , pensava alla stessa cena.

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Antonio si sdraiava, lasciandosi scivolare in un angolo della carrozza. Guardava il vecchio cuoio della carrozzeria, sulla quale cominciava a battere una lieve pioggia: ammirava la bombetta del vetturino, metteva, di tanto in tanto, il naso sul vetro del finestrino, cercando di riconoscere la facce note della gente che sโ€™affrettava sul lontano marciapiede. Pensava a un vecchio dipinto, mai veduto, ma elaborato nella sua mente. Un vecchio dipinto con disegnati dei passanti curiosi, i quali, guardando la vecchia carrozza, si chiedevano: โ€œChi รจ quel giovane signore? Da dove viene?โ€. Antonio pensava al mondo cosรฌ sempre uguale: โ€œChi lo sa se รจ sempre lo stesso mondo?โ€. Nel mentre, passรฒ accanto una grande automobile scura che, sorpassando la carrozza, schizzรฒ di fango il finestrino.

Filippo Morandi

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