Il massacro di Józefów

Settantotto anni fa, il 13 luglio 1942, i riservisti del battaglione 101, uomini comuni arruolati nella polizia d’ordine nazista da appena un mese, entrarono nel piccolo paesino polacco di Józefów col macabro compito di sterminare la popolazione ebraica. In un solo giorno, nei boschi che circondavano il villaggio, fecero millecinquecento vittime, soprattutto donne, vecchi e bambini. 

Durante il gelido inverno del 1941 gli europei, scossi e impauriti, scrutavano una grande bandiera a forma di svastica sventolare su tutto il vecchio continente. Anche nel Grande Reich i tedeschi, tormentati dalle restrizioni alimentari, brontolavano preoccupati, mentre canticchiavano le tristi note di Lili Marleen: “Presto il posto di guardia chiamò, suonano la ritirata, potrebbe costare tre giorni, camerata io arrivo subito, così ci siamo detti arrivederci, vorrei tanto andare con te, con te, Lili Marleen”. “Sarà la canzone della sconfitta”, sospiravano disillusi. Intanto in ottobre i carri armati della Wehrmacht si fermavano alle porte di Mosca e nel dicembre gli Stati Uniti d’America entravano nel conflitto a fianco dell’Inghilterra e dell’Unione Sovietica. Nell’aria riecheggiava minacciosa la voce roca di Adolf Hitler: “L’Europa non avrà la pace se prima non si risolverà il problema ebraico”. Il 1942, il terzo anno di guerra, cominciava con una conferenza segreta dei nazisti presieduta da Reinhard Heydrich in una enorme villa a Wannsee, la quale si affacciava su un immobile lago di ghiaccio nei pressi di Berlino. Nella riunione si pianificarono i tempi e le modalità per procedere alla soluzione finale della questione ebraica, il completo sterminio degli ebrei d’Europa, stimati in undici milioni di persone. I soldati di Friedrich Paulus, intanto, erano impantanati nel fango sovietico, in ogni guerra fedele alleato degli eserciti russi, e mentre si attendeva una nuova e decisiva offensiva verso est che non arrivò mai, la macchina della morte si metteva in moto nei territori occupati dai tedeschi. Vennero organizzati i primi campi di sterminio, dove le vittime sarebbero state deportate in massa con l’utilizzo di treni merci; una volta arrivati al campo, chi era sopravvissuto ai terribili viaggi veniva sterminato col gas, in grande segreto. La costruzione dei campi iniziò nell’autunno del ’41, ad Auschwitz e a Chelmno, nei pressi di Lodz. Un altro campo sorse a Belzec, nel terribile distretto di Lublino. Lo sterminio sistematico nazista cominciò a marzo e continuò fino a metà aprile. Solo a Belzec, le vittime furono cinquecentomila ma per un mese, da metà aprile fino a metà maggio, le operazioni di sterminio nel campo furono sospese. Il piccolo edificio in legno con tre camere a gas fu abbattuto e sostituito con uno più grande in muratura, dotato di sei ampie camere a gas. In Polonia gli ebrei venivano strappati dalle loro case e portati nei campi di sterminio, mentre nel distretto di Lublino arrivavano treni carichi di deportati provenienti da Occidente. Questo sistematico spostamento di vittime fu sospeso il 19 giugno per carenza di treni. Per venti giorni non ci furono trasporti di ebrei nei lager e questo fece spazientire il capo della polizia e delle SS, Odilo Globocnik, il quale decise di sperimentare nuove tecniche di massacro. Non essendo possibile deportare le vittime nei campi, l’alternativa era soltanto una: ucciderle in massa tramite l’impiego di plotoni di esecuzione. Per questo esperimento fu prescelta un’unità di riservisti: il battaglione 101.

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I riservisti del battaglione 101 non erano soldati, erano “uomini comuni”, come li definì lo storico Christopher Browning. Erano padri di famiglia di mezza età, provenienti per la maggior parte da Amburgo. Considerati troppo vecchi per essere utilizzati nella Wehrmacht, erano stati arruolati un mese prima nella polizia d’ordine. Erano operai, impiegati, commercianti, artigiani e camionisti, quasi tutti reclute alle prime armi. Avevano indossato l’uniforme verde da appena tre settimane, quando alle prime ore del mattino del 13 luglio ’42 furono tirati giù dalle cuccette sulle quali dormivano, ricavate nell’edificio scolastico adibito a caserma nella città polacca di Bilgoraj. L’unico ordine che ricevettero dal loro comandante, il maggiore Wilhelm Trapp, poliziotto di carriera di cinquantatré anni e chiamato “Papà Trapp” dai suoi soldati, fu quello di arrampicarsi sui camion in partenza. Agli uomini del 101 non era ancora stato detto che cosa li aspettasse, ma ognuno di essi aveva ricevuto munizioni in più, e anche sui camion erano state caricate casse supplementari. Il convoglio del battaglione uscì da Bilgoraj nell’oscurità, dirigendosi verso est su delle strade di campagna sconnesse e sassose, le quali scuotevano violentemente i camion e i soldati al loro interno. Dopo due ore di marcia, il convoglio si arrestava e gli uomini, scivolando fuori dai camion, poterono osservare le prime luci dell’alba. Si ritrovarono alle porte di Józefów, un tipico villaggio polacco con modeste e spartane case bianche dai tetti di paglia gialla. Tra i suoi abitanti si contavano 1800 ebrei. Il villaggio era immerso nel silenzio. Nell’aria si udiva soltanto il rumore dei rami spezzati dai soldati che si radunavano in semicerchio, intorno al comandante Trapp.  Il maggiore era pallido e nervoso. Faticava a parlare e lottava con le proprie lacrime per impedir loro di uscire. Poi, con voce soffocata, disse ai suoi uomini che dovevano svolgere un compito estremamente spiacevole. L’incarico non era di suo gradimento, ma gli ordini provenivano dalle più alte autorità. Dopo una lunga pausa, espose il macabro da farsi tutto d’un fiato: “Dobbiamo rastrellare gli ebrei. I maschi abili al lavoro devono essere separati dagli altri e portati in un campo apposito di Lublino. Gli ebrei restanti, insieme alle donne, ai vecchi e ai bambini, devono essere fucilati sul posto”. Poi fece un’insolita offerta: chi fra i più anziani non si fosse sentito all’altezza dell’incarico che lo aspettava poteva fare un passo avanti. Solo un uomo uscì dai ranghi. Trapp assegnò i vari incarichi, mentre ormai il sole si affacciava da dietro le montagne. Alcuni uomini ricevettero l’ordine di circondare l’intero villaggio e di sparare a chi tentava la fuga. Gli altri poliziotti dovevano prelevare gli ebrei casa per casa e condurli nella grande piazza centrale del mercato. I deboli e i malati, i bambini piccoli e tutti quelli che avrebbero resistito dovevano essere fucilati all’istante. Altri uomini del battaglione avrebbero portato via gli ebrei abili al lavoro selezionati sulla piazza del mercato, mentre altri ancora si sarebbero diretti nei boschi per formare i plotoni d’esecuzione. I camion avrebbero caricato gli ebrei trasportandoli dalla piazza del mercato al luogo dell’esecuzione. Dopo aver dato gli ordini e diviso gli incarichi, Trapp si fermò in paese. Ispezionò la scuola trasformata in quartier generale, fece visita al sindaco e al prete, passò per la piazza e osservò a lungo la strada che portava verso il bosco. Ma non assistette alle esecuzioni. “Oddio, perché mi hai dato questi ordini?”, disse appena vide la piazza colma di ebrei assetati e boccheggianti come tanti pesci. Intanto, i sottufficiali formarono dei gruppi di due o quattro poliziotti e li mandarono a rastrellare la zona ebraica del villaggio. Gli ebrei furono trascinati fuori dalle loro case e chi non poteva camminare veniva fucilato sul posto. Il silenzio che aleggiava sul piccolo paese di Józefów venne interrotto da un fracasso infernale di urla e di spari. I pazienti dell’ospedale e della casa di riposo vennero uccisi nei loro letti.

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Quando l’operazione di rastrellamento stava per terminare, alcuni uomini del battaglione furono convocati per una rapida lezione sul compito che li attendeva. A istruirli c’erano il medico e un sergente. Spiegarono agli ufficiali il modo preciso di sparare per provocare la morte immediata della vittima. Disegnarono il contorno di un corpo umano, dalle spalle in su, e poi indicarono il punto esatto in cui la baionetta andava posta per prendere la mira. Ricevute le istruzioni, gli uomini del battaglione 101 partirono alla volta del bosco. Nella piazza, furono selezionati trecento uomini abili al lavoro da trasferire nel campo di Lublino. Quando questi cominciarono a lasciare Józefów, dal bosco cominciò a giungere il rumore dei primi spari. Molti di loro furono assaliti da una tremenda agitazione e si gettarono al suolo piangendo, avendo capito che in quel momento, mentre loro lasciavano il villaggio, i loro familiari venivano fucilati. Intanto, i primi plotoni di esecuzione erano giunti su una strada sterrata del bosco, davanti a un sentiero immerso tra gli alberi. Arrivò il primo carico di quaranta ebrei. Si fecero avanti altrettanti poliziotti in divisa verde, abbinati alle loro vittime. Il gruppo si avviò per uno dei tanti sentieri del bosco che erano stati scelti come luoghi adatti alle esecuzioni. Venne ordinato agli ebrei di stendersi per terra, in fila. I poliziotti avanzarono e piazzarono le baionette sulla spina dorsale delle loro vittime, al di sopra delle scapole. All’ordine, gli uomini spararono all’unisono. Nel frattempo, altri poliziotti avevano raggiunto il bosco per formare un secondo plotone d’esecuzione. Quando la prima squadra tornò indietro, la seconda si avviò con le sue vittime verso lo stesso sentiero, ma giunsero in un luogo distante, per evitare che il nuovo gruppo di ebrei vedesse i cadaveri della prima esecuzione. Anche questa volta le vittime furono costrette a sdraiarsi in fila e fucilate alle spalle. Le due squadre continuarono ad alternarsi per tutta la giornata. Ci fu una pausa a mezzogiorno, dove si organizzò una generosa distribuzione di alcol, poi i membri del battaglione proseguirono con le esecuzioni, senza interruzioni, fino a tarda sera. Alla sera, quando il sole lentamente scendeva salutando quella terribile giornata, dopo ore e ore di massacri ininterrotti nessuno degli uomini riusciva a ricordare quanti ebrei avesse ucciso. Erano tutti orrendamente imbrattati di sangue, pezzi di cervello e frammenti di ossa che si erano appiccicati alle divise. Il bosco era pieno di cadaveri, tanto che era difficile trovare posto per far sdraiare le ultime vittime rimaste. L’oscurità scese verso le nove di sera e gli uomini del battaglione, dopo aver ucciso gli ultimi ebrei, tornarono sulla piazza del mercato e si prepararono a partire per Bilgoraj. Non erano stati fatti piani per il seppellimento dei cadaveri e i corpi degli ebrei furono lasciati nel bosco. L’enorme mucchio di vestiti che le vittime avevano lasciato sulla piazza fu bruciato. Prima che i poliziotti salissero sui camion e lascassero il villaggio spettrale di Józefów, apparve una bambina di dieci anni che perdeva sangue dalla testa. Il maggiore Trapp la prese in braccio e disse: “Tu resterai in vita”.

Stefano Poma

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