La recensione: La triste vita di Giacomo Leopardi

Nella superficiale convinzione di molti, Giacomo Leopardi è apparentato iconograficamente alla figura di un sofferente menomato fisico che, in virtù della sua sventurata condizione, condusse un’esistenza tormentata, tetra musa ispiratrice delle sue liriche. Pochi sanno, e il libro di Gregory Marinucci con il suo saggio La triste vita di Giacomo Leopardi colma questa lacuna, che nell’animo dell’autore del Passero Solitario albergavano due personalità distinte e contrastanti fra loro, una delle quali rappresentata da un’indole passionale e desiderosa d’avventure. Nel ricostruire le tappe della vita del poeta (nato a Recanati nel 1798 da una famiglia aristocratica e profondamente cattolica, se non bigotta, che cucirà una plumbea cappa sulla figura di Giacomo accompagnandolo fino alla morte), Marinucci opera un parallelo tra le tappe esistenziali del protagonista del suo saggio e le opere letterarie, mostrandocene via via l’evoluzione del pensiero in rapporto alle sue umane esperienze.

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Prigioniero nella gabbia dorata di Palazzo Leopardi, guardato a vista dal padre Monaldo e quasi ignorato dalla madre Adelaide, fin dalla tenera età il poeta si “ciba” di libri al punto da restare malformato, a forza di restare ore e ore ingobbito per leggerli avidamente. Non potendo da principio sfuggire alla “prigionia” famigliare, Giacomo sogna evasioni e il suo animo lieve si libra sulle ali di una bellezza che gli manca nel fisico ma che lo pervade capillarmente nello spirito. Chi lo considera una sorta di “topo da biblioteca”, vissuto costantemente fra polverose carte, ignora che, con l’ardore delle sue liriche, Leopardi arriverà perfino a ispirare i volontari della Seconda Guerra d’Indipendenza, tanto che – nel 1859, vent’anni dopo la morte del poeta – arriveranno a dire: “In Chiesa col Manzoni, alla guerra con Leopardi”.

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Chi lo ritiene un solitario mai toccato dalle passioni amorose, scoprirà nel libro di Marinucci che il Leopardi s’innamorò diverse volte in vita sua, per esempio della bolognese contessa Malvezzi e quindi di Fanny Targioni Tozzetti, che gli ispirò la redazione del Ciclo di Aspasia. Chi pensa che Giacomo sia vissuto vita natural durante nel “natio borgo selvaggio” di Recanati, verrà invece informato che viaggiò a Roma (la quale lo deluse profondamente così come Milano), a Pisa, a Firenze, a Bologna, e quindi a Napoli in compagnia dell’amico Ranieri, che gli fu fedele fino alla morte. Dal saggio di Marinucci, evinciamo soprattutto – come detto prima – che Giacomo Leopardi era un animo decisamente complesso, scisso tra la smania di vivere e il dolore cosmico dovuto alla sofferenza della sua condizione. Un dualismo che lo dilaniava ma che era anche motore della sua creazione poetica. Creazione poetica che, ambigua e autoriflessiva, si presta a varie sfumature di significati.

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Ne La triste vita di Giacomo Leopardi, apprendiamo inoltre che egli non ebbe immediatamente fortuna in Italia, almeno fino alla fine dell’Ottocento, e che invece godette quasi da subito dell’ammirazione del resto dell’Europa. Il filosofo Schopenhauer lo scoprì invece ben presto, trovando in lui l’emblema del suo credo, l’autentico rappresentante di quell’anelito verso “l’Infinito” – tutto si tiene – tipico dell’essere umano, desideroso di raggiungere la divinità e al tempo stesso consapevole della propria limitatezza. Giacomo Leopardi rappresentò più di ogni altro la tragica condizione umana descritta da Schopenhauer: quel vivere eternamente aggrappati a un pendolo che oscilla fra “dolore” e “noia”, proprio come il poeta sognava di evadere dal dolore della sua esistenza a Recanati per poi provare immediatamente tedio nel momento in cui sperimentava la vita in altre città e conosceva “il mondo” oltre il suo caro, “ermo colle”. Un animo tormentato quello di Giacomo, ma vibrante di passione e – come ci fa scoprire Marinucci – arso dal sacro fuoco dell’Arte, ma soprattutto – a differenza di chi lo considera un essere dannato dalla propria deformità – pervaso da una immensa e, incredibilmente gioiosa, brama di vivere.

Marco Zonetti

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Copertina Giacomo

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