L’Universale editore


Vittorio Emanuele III e le leggi razziali

Ottantadue anni fa, l’undici novembre del 1938, i giornali italiani riportavano una terribile notizia: l’Italia fascista aveva promulgato le leggi razziali. All’improvviso, gli italiani scoprirono di appartenere alla razza ariana grazie a un decreto. Il “piccolo re” firmรฒ la legge per paura delle ritorsioni nazifasciste che avrebbero potuto far vacillare l’istituzione monarchica dei Savoia.

Il Corriere della Sera dellโ€™undici novembre millenovecentotrentotto titolava: โ€œLe leggi per la difesa della razza approvate dal Consiglio dei ministriโ€. I matrimoni misti furono proibiti, gli impiegati statali, parastatali e di interesse pubblico vennero esclusi. Non vi potevano essere ebrei nella scuola italiana, nelle banche, nelle assicurazioni, nellโ€™esercito; gli ebrei non poterono avere domestici ariani. In Italia si dava il via alla campagna antisemita e gli italiani scoprirono, grazie a un decreto, di essere ariani. Ma i loro occhi sono neri, i loro capelli scuri, il loro naso aquilino, i loro capelli ricci e alcuni di loro hanno i piedi piatti; lโ€™altezza media non raggiunge il metro e settanta. Tuttavia, la visita del dittatore tedesco Adolf Hitler, avvenuta qualche mese prima, li ha convinti: tedeschi e italiani appartengono alla razza superiore. “Una certa mattina, sugli argini scuri del Tevere, vediamo i primi ebrei costretti a scavar la terra. Il nostro cuore geme. Rassegnati, i poveri giudei trascinano adagio le carriole o affondano il badile nel fango lentamente, senza alzare gli occhi. Ma il giorno dopo, affacciandomi alla finestra, mโ€™accorgo che sono diminuiti di numero e che lavorano con maggior lentezza. Il terzo giorno, sono meno ancora, e cosรฌ il quinto e il sesto, finchรฉ non ne vedo alcuno. โ€œGrazie a Dio, in Italia, tutto finisce cosรฌ!, dice mio padreโ€โ€. Scriverร  qualche anno piรน tardi Leo Longanesi.

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Gli intellettuali tacquero e in molti si domandarono per quale motivo il re abbia firmato il decreto antisemita senza discutere, senza fare opposizione, senza riconoscere merito a quei collaboratori ebrei che da anni ebbero potuto servirlo e a quei generali, ormai definiti giudei, che avevano combattuto vittoriosamente durante la Prima Guerra Mondiale. Gli storici ripresero in mano i vecchi, polverosi libri di Storia prerisorgimentale, nei quali si narrava che suo bisnonno, Carlo Alberto, abolรฌ le interdizioni israelitiche e diede agli ebrei del Regno di Sardegna la libera cittadinanza. Ma la Storia, per Vittorio Emanuele III, per il regime e per la quasi totalitร  degli italiani, si stava riscrivendo a partire da quel 1938. Lโ€™Italia aveva conquistato lโ€™impero; era stimata da tutti e cinquantadue gli Stati che poco prima gli avevano imposto le inique sanzioni. Il suo duce, a Monaco, fu accolto come il salvatore della pace da tutta la comunitร  internazionale. Era vista come una grande potenza militare che poteva fare da cinghia di trasmissione tra la pericolosa, imprevedibile e prepotente Germania nazionalsocialista e le democrazie occidentali. Era lโ€™ago della bilancia di unโ€™Europa che non aveva piรน un sistema chiaro di pesi e contrappesi. “Eย come rovinare questโ€™autoritร  finalmente raggiunta, dopo millenni di servilismo, solo per non dare fastidio ai quarantaquattromila ebrei dโ€™Italia?โ€ sembrava domandarsi il piccolo re mentre osservava preoccupato, per le sorti della monarchia, i tanti successi internazionali dellโ€™Italia che avevano risvegliato gli ardori rivoluzionari della parte piรน ideologica e repubblicana del regime fascista. Le vecchie camicie nere, quelle che il 24 ottobre del โ€™22 a Napoli storsero il naso osservando chi, tra la folla, gridava โ€œViva il reโ€, incitavano Mussolini a rompere gli indugi, a separarsi da quella monarchia con la quale aveva dovuto scendere troppo spesso a compromessi, troppo spesso a patti; che era colpevole della mancata nascita dellโ€™uomo nuovo italiano, dellโ€™uomo fascista, duro, implacabile, odioso: cioรจ padrone.

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Mussolini ottenne la sua campagna dโ€™odio, la quale colpรฌ alcuni pezzi da novanta del regime: lโ€™ebreo Cesare Goldman, fascista della prima ora; fu lui a procurare la sala in piazza San Sepolcro nella quale, il 23 marzo del 1919, si formarono i primi fasci di combattimento. Margherita Sarfatti, intellettuale e amante del duce, la quale riparรฒ in Argentina per sfuggire alla persecuzione. Aldo Finzi, dannunziano, squadrista della prima ora ed ex sottosegretario agli Interni. Dante Almansi, vice-capo della polizia sotto il quadrumviro Emilio De Bono. Poi i militanti delle opposizioni clandestine allโ€™estero: Leone Ginzburg, i Sereni, Terracini, Rodolfo Mondolfo, Tullio Ascarelli, Renato Treves. Vittorio Emanuele III si giustificรฒ cosรฌ, con un Italo Balbo deciso a contrastare i provvedimenti antisemiti, riguardo la firma delle leggi razziali: โ€œOra il duce gli ebrei li vuole fuori, perchรฉ durante la guerra dโ€™Africa, e qui non gli si puรฒ dare torto, si sono schierati, in America, in Inghilterra, in Francia, contro di noi con unโ€™acredine da non dire. Lei lo conosce quanto me e meglio: Mussolini se lโ€™รจ legato al dito questo atteggiamento ostile e poi รจ geloso, credo, che lโ€™antisemitismo tedesco sia tanto piaciuto alle nazioni arabe del levante mediterraneoโ€. Poco tempo prima solo la Germania aveva riconosciuto lโ€™impero italiano e Vittorio Emanuele III imperatore dโ€™Etiopia; la firma era il prezzo da pagare per conservare una corona che, al piccolo re, dโ€™ora in avanti, starร  sempre piรน larga.

Stefano Poma

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