L’Universale editore


L’impiccagione del criminale nazista Adolf Eichmann

Cinquantanove anni fa, il 31 maggio 1962, l’ex gerarca nazista Adolf Eichmann, figura di primo piano nella gigantesca macchina messa in moto per la “Soluzione Finale”, venne impiccato pochi minuti prima della mezzanotte in una prigione a Ramla, in Israele.

Adolf Eichmann, catturato nel maggio del 1960 in Argentina dal Mossad, venne processato e condannato a morte per impiccagione in Israele. Vennero presentate delle richieste di grazia sia dalla famiglia dell’ex gerarca e dall’avvocato difensore, Servatius. Entrambe vennero rigettate da Yitzhak Ben-Zvi, allora Presidente della Repubblica d’Israele. L’ultimo atto di questo drammatico capitolo della storia umana avvenne nella prigione di Ramla, il 31 maggio del 1962. Eichmann rifiutò l’ultimo pasto, optando invece per una bottiglia di Carmel, un vino rosso prodotto in Israele. Ne bevette la metà.  L’ex gerarca venne impiccato poco prima della mezzanotte. Furono due le persone incaricate dell’esecuzione, tirando contemporaneamente le leve della corda. Non si doveva sapere con certezza chi avesse eseguito la sentenza.  Il corpo di Adolf Eichmann venne cremato e le sue ceneri vennero gettate nel Mediterraneo, al di fuori delle acque territoriali israeliane. A distanza di cinquantacinque anni dal processo, traspare un’idea inquietante di un uomo come una vera e propria incarnazione del male. Non si trattò tuttavia di un male selvaggio, ma di un male razionale, metodico. In un concetto agostiniano il male che venne rappresentato in quello scorcio del XX Secolo, altro non fu che vuoto, inteso come un’assenza dell’etica umana. Un volontario distanziamento dalle proprie responsabilità morali di uomo designò la vita dell’ex gerarca ed è riassumibile nelle parole che egli pronunciò in una delle fasi del processo: «Ricevevo gli ordini. Che la gente venisse uccisa o no, gli ordini dovevano essere eseguiti».

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