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L’antisemitismo che portò al potere Adolf Hitler

Ottantotto anni fa, il 30 gennaio 1933, il presidente della Repubblica di Weimar, l’ex generale von Hindenburg, nominava Adolf Hitler nuovo cancelliere del Reich. Nel programma politico del Fuhrer erano forti la componente antisemita e l’odio verso il diverso. Nei seggi, gli elettori tedeschi, dimostrarono di approvare tale linea.

Il 31 gennaio 1933 il giornalista italiano Taulero Zulberti, inviato in Germania da «il Resto del Carlino», scriveva sul quotidiano bolognese: “Berlino, 30 notte. Adolfo Hitler, fondatore e capo del socialnazionalismo, è giunto al potere «per vie e con mezzi legali», conformemente a quanto ebbe a dichiarare nel settembre del 1930, in un processo svoltosi dinanzi all’alta Corte di Lipsia. Il Presidente del Reich lo ha nominato Cancelliere, ed ha approvato, subito dopo, la lista dei Ministri da lui proposti”. Nel programma nazista era forte la componente antisemita, approvata dalla maggior parte degli elettori tedeschi. Diverse ipotesi storiche proverebbero a spiegare come l’ideologia antisemita, ossia l’ostilità con pregiudizi e atteggiamenti persecutori nei confronti del popolo ebreo, costituisca presupposto fondamentale e requisito essenziale del concreto manifestarsi nel regime nazista. La prima ipotesi di giustificazione dell’antisemitismo si fonderebbe sul fatto che gli ebrei sarebbero meritevoli di persecuzione, in quanto storicamente si identificherebbero con un popolo parassitario dell’intero territorio europeo in cui, da secoli, avrebbero ricoperto posizioni e ruoli rilevanti in importanti banche europee e, soprattutto, avrebbero esercitato un enorme potere economico attraverso il controllo della quasi totalità del sistema finanziario. La brutale ostilità del sistema nazista verso gli ebrei originerebbe quindi, secondo questa prima ipotesi, da una reazione contro la loro importantissima posizione di potere in senso economico e di riconoscimento e prestigio sociale.

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La seconda ipotesi che legittimerebbe l’antisemitismo sarebbe follemente “ispirata dal buon senso”, e corrisponderebbe alla tipica giustificazione maggiormente diffusa e letta nei testi di propaganda antisemita. Secondo tale teoria gli ebrei, da sempre perseguitati e dunque colpevoli, sarebbero indicati come responsabili di tutto ciò che di negativo ha caratterizzato la storia dell’uomo. Considerati dunque come causa occulta di ogni male, in ogni tempo gli ebrei avrebbero sopportato il ruolo di capri espiatori perfetti per tutte le occasioni, degni di punizione sempre e senza eccezione. Viene così ripresa la tesi di un “eterno antisemitismo”, considerato come fenomeno naturale e ciclico nella storia, ma che in realtà si rivelerebbe semplicemente un alibi e un mero strumento nelle mani del regime nazista, che si sentirebbe così giustificato ed autorizzato ad attuare qualsiasi crimine e atrocità contro gli ebrei. Dal punto di vista storico il processo d’evoluzione dello Stato nazionale nell’Europa Occidentale è strettamente legato alle vicende storiche del popolo ebreo. Infatti, a partire dal XVII secolo, le grandi monarchie assolute erano finanziate dai cosiddetti “ebrei di corte” i quali, dopo essere usciti dall’anonimato del ghetto, si erano elevati al ruolo di curatori e di amministratori degli affari economici dei loro principi. La stretta relazione tra ebrei e Stato nazionale comincia ad incrinarsi intorno alla fine dell’Ottocento con la nascita dell’imperialismo, epoca in cui l’economia capitalistica si trasforma in affare esclusivo della borghesia che, fino ad allora, si era di fatto dimostrata generalmente indifferente alla finanza pubblica. Gli ebrei in poco tempo perdono quindi il monopolio nel credito statale e di conseguenza il loro potere economico e prestigio sociale.

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Con l’ascesa dell’ideologia nazionalista imperialista l’elemento semitico diventa quindi oggetto di accanimento nell’intera Europa a causa della sua improduttiva ricchezza non più utile al potere. La borghesia europea, che inizia verso fine Ottocento ad organizzarsi in fazioni e partiti politici, strumentalizza spesso le ideologie antisemite, con la pretesa di rappresentare gli interessi nazionalisti e di sostituirsi a tutti i centri di potere del precedente modello di Stato. Il nascente socialismo, portavoce dei diritti dei proletari contrapposti agli interessi della crescente potenza borghese, non si sarebbe occupato della questione ebraica e non avrebbe prestato alcuna attenzione all’importante esperienza e contributo degli ebrei nella storia politica europea. I socialisti quindi avrebbero adottato, in questo momento storico, la scelta politica neutrale di non esporsi né a favore né contro gli ebrei, anche quando l’ideologia antisemita sarebbe poi pienamente dilagata in tutta Europa. In qualche modo, il pensiero e il sentimento antisemita è stato alimentato anche dalla diffusione di alcuni romanzi dello scrittore britannico di origine ebraica Benjamin Disraeli, importante esponente del partito conservatore, che peraltro aveva ottenuto la carica di Primo Ministro inglese per due volte. Il suo modo d’essere eccentrico, fuori dalle righe e non omologato rispetto agli altri esponenti politici suoi contemporanei, si rifletterebbe nelle sue opere narrative “Alroy” e “Coningsby”, pubblicate rispettivamente nel 1833 e nel 1844. In questi lavori di fantasia, Disraeli disegna un mondo dove il popolo ebreo, considerato idealmente eletto da un percorso storicamente illuminato, diventa colonna portante della diplomazia e della sovranità tra le nazioni attraverso una società occulta e segreta in cui sarebbero accordate le principali decisioni sovrastatali. Molti gruppi antisemiti, dopo la pubblicazione di queste opere, avrebbero considerato quasi come fosse reale l’intera narrativa e avrebbero accusato gli ebrei di cimentarsi nella costruzione di un’organizzazione occulta, costituita per la conquista del potere mondiale.

Massimo Piludu

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